Il reddito di cittadinanza? Una barriera contro lo sfruttamento
L’economista Emanuele Felice interviene nelle polemiche sul rdc: è una misura di welfare che serve a contrastare la povertà e lo sfruttamento. Abolirlo? Neanche a pensarci, semmai va migliorata, magari seguendo il modello indicato da Sanchez. E lo sviluppo? Le imprese devono fare la loro parte: che imprenditore è chi non investe sui propri lavoratori?
Lo si approvi o meno, il reddito di cittadinanza ha avuto un merito indiscutibile, forse non previsto dai grillini che ne avevano fatto, a partire dal 2018, un formidabile (ed efficace) strumento di propaganda: ha fatto emergere i nodi dell’economia italiana. Soprattutto, nel suo settore più critico: il mondo del lavoro.
E il dibattito recente esploso sui media restituisce la versione 2.0 del conflitto mai superato tra capitale e lavoro, che si risolve spesso in una gara a chi è più povero: i piccoli imprenditori, affogati da tasse e spese, e gli aspiranti lavoratori, costretti spesso a preferire l’inerzia allo sfruttamento.
L’aspetto più curioso di questa vicenda è che il problema è esploso nei settori della ristorazione e del turismo, i più esposti alle fluttuazioni del mercato – e alle coltellate della pandemia – e i più forti consumatori di precari, ché tali di fatto sono gli stagionali.
I termini di questa polemica sono noti.
Da un lato, gli esercenti accusano il reddito di cittadinanza di disincentivare la voglia di lavorare, dall’altro i percettori del reddito rinviano le accuse al mittente con argomentazioni non proprio irrilevanti: ciò che disincentiva sono le paghe da fame e le scarse tutele.
E questi due fattori sono stati confermati dalle inchieste con cui (il Fatto Quotidiano in testa) una buona parte della stampa ha cavalcato la tigre.
Il problema riguarda soprattutto la sinistra, come rivela il dibattito politico sul reddito di cittadinanza, che è comunque finito nel mirino.
Ma di sicuro per chi pensa e dice cose di sinistra, questo ammortizzatore non è un incentivo alla vagabonderia.
Piuttosto, anche nella consapevolezza delle imperfezioni da correggere e delle storture da eliminare, è «una misura importante, che ha contribuito a togliere molte persone da situazioni di indigenza estrema».
La pensa così Emanuele Felice, enfant prodige dell’economia, professore ordinario di Politica economica presso l’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara, professore esterno di Storia economica presso la Luiss e già responsabile dell’economia del Pd con Zingaretti.
Dire che il reddito di cittadinanza abbia assolto alla funzione, etica ancorché economica, di combattere povertà ed emarginazione sociale, è solo una parte del discorso. Ma dal dibattito in corso è emerso altro.
Infatti, questa misura ha un’altra funzione importante, sia sotto il profilo etico sia sotto quello economico: è un calmiere ai ribassi eccessivi nell’offerta di lavoro. È un modo importante con cui lo Stato fissa una soglia minima nelle retribuzioni al di sotto della quale non si può andare.
Infatti, quella che raccontano molti giornali sembra quasi una situazione da padroni delle ferriere, la quale, tuttavia, è esplosa in quella parte del terziario che traina l’economia di intere zone.
Il rischio, in questo caso, è di scambiare la parte per il tutto: i settori della ristorazione e dell’industria del divertimento hanno delle caratteristiche molto specifiche.
Ma è innegabile che siano settori attorno ai quali c’è un giro di denaro importante e che, tuttavia, non producono il valore che sarebbe lecito aspettarsi, visto che non redistribuirebbero reddito a dovere…
Certo, ma il problema reale, l’impoverimento del Paese, riguarda tutto il mercato del lavoro, perché le storture sono ovunque. Penso anche a un altro settore, dove purtroppo periodicamente emergono scandali e vecchie piaghe: l’agricoltura. In questo caso, non serve essere economisti o cronisti curiosi per accorgersene. Basta leggere i giornali e seguire i tg.
Quindi il reddito di cittadinanza è un bene da proteggere a tutti i costi solo perché fa da calmiere e, si perdoni l’espressione brutale, sfama?
Non è una panacea e si è prestato ad abusi. Ma, per parafrasare una celebre metafora, il reddito di cittadinanza resta un bambino da tenere e accudire, una volta buttata l’acqua sporca del bagno. E non a caso, il Pd ha messo in cantiere una serie di proposte per coordinarlo con le esigenze del mondo del lavoro. Innanzitutto, un cambiamento dei parametri (tra cui quello del tempo di residenza, per renderlo più applicabile anche agli immigrati) e dei controlli. Ma un punto non può essere proprio toccato.
E quale?
Il diritto di chi lavora a una retribuzione che consenta una vita dignitosa. E non parlo solo a livello etico, ma anche economico: i tagli alle retribuzioni e il ricorso massiccio al sommerso sono un indice chiaro di sottosviluppo. E la situazione italiana indica, purtroppo, un declino molto forte.
Detto altrimenti, i Paesi avanzati sono quelli che pagano bene. Il che non è per l’Italia…
Esatto. Lo sviluppo è propiziato dai salari alti e dalla qualità delle tutele sociali, che non sono una conseguenza della crescita economica ma una loro concausa.
Eppure, c’è chi sostiene che se non si produce ricchezza – e produrre ricchezza costa comunque sacrifici – non si può redistribuire niente.
Siamo sicuri che sia così? La storia economica dice altro: all’origine della rivoluzione industriale c’erano i salari alti, che nell’Inghilterra del Settecento erano più elevati che nel resto del mondo. Questa situazione ha stimolato la ricerca verso la meccanizzazione, che a sua volta ha stimolato il mondo del lavoro a specializzarsi e qualificarsi. La ricchezza, la crescita e lo sviluppo non sono solo dati quantitativi, ma hanno profili qualitativi molto marcati, che si riflettono in un’espressione: qualità della vita.
Tiriamo le fila: il reddito di cittadinanza, se ben impostato e applicato, può aiutare a risalire la china?
In sé non è una misura di sviluppo: ma è una misura di welfare che serve a contrastare la povertà e lo sfruttamento. Inoltre, come accennavo io credo che debba essere migliorato, per consentirgli di raggiungere meglio i suoi obiettivi sociali, come fatto ad esempio da Sanchez con l’Ingreso minimo vital. Comunque, è positivo che ostacoli la corsa al ribasso dei salari…
Però occorre anche essere garantisti con la controparte: datori e imprenditori.
Io dico questo: sottopagare chi lavora oltre i limiti dello sfruttamento, è pure indice della voglia di non investire. Il lavoro non è solo impiego di energie e di tempo, ma applicazione di know how e competenze acquisiti sul campo. E ciò vale per ogni tipo di lavoro. E, al riguardo, mi domando: che imprenditore è chi non vuole investire sul personale?
Flavio Briatore ha parlato di recente delle paghe e delle possibilità di guadagno che offre a chi lavora per lui.
Gli credo sulla parola. Però è vero pure che girare per l’Europa a fare il cameriere o il responsabile di sala con quei ritmi è un lavoro che solo un giovane o giovanissimo può reggere. Immaginiamo un cuoco di cinquant’anni o più: di sicuro ha maggiore esperienza e bravura di un ventenne. Ma poi potrebbe passare la vita, soprattutto se ha famiglia, girovagando mezzo mondo? Il problema è stabilire regole certe e applicabili per tutti.
Ma di sicuro non è infondata la lamentela perenne del mondo delle imprese sui costi fiscali eccessivi, che incidono parecchio in negativo…
… e tartassano gli imprenditori capaci, impedendo loro non solo di performare ma persino di sopravvivere, mi permetto di aggiungere. Dirò di più: il fisco è solo una parte dei costi di contesto, in cui devono essere calcolati la giustizia, il peso della burocrazia e le infrastrutture. L’Italia è messa male rispetto ai suoi partner europei anche sotto questi aspetti. Gli imprenditori, soprattutto i più capaci e ricchi di idee, dovrebbero premere per ottenere costi di contesto più bassi, di livello europeo, prima di puntare il dito sul reddito di cittadinanza (cioè sui salari).
Insomma, è il cane che si morde la coda: imprenditori strozzati dalle istituzioni, lavoratori sottopagati e, infine, enti pubblici costretti a supertassare per tenere i conti in piedi…
Di sicuro tagliare il lavoro per risparmiare non è una soluzione praticabile: il lavoro malpagato diventa lavoro di pessima qualità e quando la qualità manca è impossibile reggere il mercato, perché le gare al ribasso sono sempre perdenti. L’Italia è in declino a causa della combinazione micidiale di costi di contesto alti, che ci rendono inappetibili per le attività di impresa, e di salari bassi, che tuttavia non generano un risparmio vero. Occorre rompere questo cerchio: come si è già chiarito, col reddito di cittadinanza si è dato uno stop alla corsa al ribasso sul lavoro. Ora occorre sbloccare le imprese. Ma senza una presa di coscienza degli imprenditori è difficile davvero.
(a cura di Saverio Paletta)
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La domanda che si pone l’economista Felice sul “che imprenditore è chi non vuole investire sul personale?” ha una unica e, scontata, risposta: l’imprenditore medio italiano secondo il quale il personale, dipendente, è così caratterizzato:
1 – Si ostina a NON lavorare gratis e pretende pure d’essere pagato in una data certa e non quando fa comodo a me
2 – Non si sforza di produrre di più per massimizzare i MIEI profitti a parità del SUO stipendio applicando per sé stesso la regola aurea del capitalista, regola che, in realtà, dovrei applicare SOLO io in quanto sono un imprenditore e lui un dipendente.
3 – Oltretutto è talmente buzzurro che se la ditta concorrente gli offre 100 €/mese in più e magari i buoni pasto quello mi firma seduta stante le dimissioni e mi lascia a piedi dimostrandosi di una ingratitudine colossale nei miei confronti, io che l’ho preso, spremuto come un limone e mai dauto 1 € di aumento in 20 anni di lavoro, a parte quelli purtroppo inevitabili dovuti agli aumenti contrattuali, mannaggia ai sindacati!.
4 – Pertanto, ed ancor più in un periodo di crisi come l’attuale, non potendo assolutamente rinunciare al mio guadagno personale, non posso certo rinunciare al Suvvone tedesco ed accontentarmi di una banale utilitaria, io ho un’immagine da difendere, perbacco! mi vedo costretto a delocalizzare la MIA fabbrichetta in paesi a basso costo del lavoro, in Cina no perché altrimenti diventerei il socio di minoranza della MIA azienda, dove i lavoratori mi adoreranno come un DIO per avergli dato la possibilità di prendersi due soldi di stipendio, altro che questi italiani ingrati!
Ecco questo è l’archetipo dell’imprenditore medio italiano. Dite che è un ritratto molto ironico? Può essere ma di tipi di questa cilindrata ne ho conosciuto qualcuno. E da gente che non investe un centesimo in ricerca e sviluppo, perché sono soldi letteralmente BUTTATI VIA ed in crescita del proprio personale, ovviamente perché sono soldi DOPPIAMENTE BUTTATI VIA, non si può nemmeno lontanamente sperare che possano diventare il “motore dello sviluppo del Paese” come amano solitamente dipingersi. E la situazione economica italiana attuale, al di là delle condizioni esterne, è il risultato di due~tre decenni di questa filosofia imprenditoriale. Poi, ovviamente, ci sono anche le “lodevoli eccezioni” ma non è che queste possano, da sole, trainare un Paese intero.
Egregio Luca,
Intanto grazie per l’attenzione. Riguardo all’intervista a Emanuele Felice, posso dire che ha colto nel segno: gli attacchi al reddito di cittadinanza, che ha pure rivelato molti problemi nell’applicazione, non provengono da ambienti “legalitari”, bensì da quel mondo imprenditoriale, in larga parte terziario, che ha trasformato la compressione sistematica (leggi: sfruttamento) del lavoro in un metodo economico.
Questi stessi ambienti, soprattutto meridionali, hanno fatto pressione sui propri referenti e non è proprio un caso che alcune proposte di riforma (leggi: sforbiciamento) del rdc siano state avanzate da esponenti del Movimento 5 Stelle, parliamo dello stesso partito che ha fatto il pieno di voti soprattutto al Sud grazie a questo speciale ammortizzatore sociale.
Concordo con Lei su un punto: non tutti gli imprenditori sono “padroni delle ferriere 5.0”, ma le “lodevoli eccezioni” non solo confermano la malaprassi dell’imprenditoria tricolore, ma subiscono la grave concorrenza sleale di chi viola, praticando il nero totale, o comunque elude le norme delle contrattazioni collettive.
Il reddito di cittadinanza ha fatto esplodere questa situazione grave. E gli imprenditori? O si adeguano alle vere regole del mercato, di cui una componente importante è il lavoro, o chiudono.
Tuttavia, anche noi cittadini dobbiamo fare la nostra parte: denunciare innanzitutto gli abusi e premiare, coi nostri consumi, gli imprenditori che fanno davvero il loro mestiere.
A volte basta poco: prendere il caffè in quel bar dove i dipendenti sono in regola senza guardare ai dieci centesimi in più. Sono soldi ben spesi.
Un cordiale saluto
Saverio Paletta
Parole sacrosante