La novità è l’Italicum
La modifica che potrebbe cambiare il sistema è la nuova legge con cui, Consulta permettendo, sceglieremo i parlamentari
Più dei cambiamenti al testo della Costituzione, peserà nella riforma il sistema elettorale, che con l’Italicum si orienta verso il sistema maggioritario in maniera quasi inedita nella storia italiana (l’unico precedente citato dai non pochi critici è la legge Acerbo, che puntellò l’ascesa del fascismo a metà degli anni ’20) ed europea (l’unica legge elettorale che contempla un premio di maggioranza altrettanto forte è quella ungherese).
In tutto questo non c’è nulla di strano: l’opinione pubblica e i rapporti sociali cambiano continuamente e spesso proprio le leggi elettorali devono cambiare con essi per consentire a questi cambiamenti – in meglio o in peggio non importa – di riflettersi nelle istituzioni. Accadde col Mattarellum nel 1993 (a cui corrispose il Tatarellum per i sistemi elettorali delle Regioni, anch’esse trasformatesi radicalmente in seguito al boom delle autonomie locali esploso alla fine della Prima Repubblica), è accaduto col Porcellum nel 2005, potrebbe accadere, appunto, con l’Italicum, se la Corte costituzionale, già adita dal Tribunale di Messina, non dovesse decidere altrimenti dopo il referendum.
Non è una questione di poco conto: dipenderà, è il caso di ripetere, soprattutto dal sistema elettorale se, qualora vincesse il sì, il nostro sistema costituzionale, avrà sviluppi “autoritari”.
Vediamo come.
Entrata in vigore il primo luglio scorso dopo un percorso accidentato e pieno di irregolarità, la legge 52 del 2015 prevede per la Camera dei Deputati un meccanismo maggioritario per liste, più o meno come il precedente Porcellum, ma esasperando il premio di maggioranza che dovrebbe puntellare l’esecutivo. Un aumento non da poco, dato che la lista che dovesse ottenere almeno il 40% dei voti avrebbe il 54% dei seggi (340 su 630) a Montecitorio. Il resto sarà distribuito in proporzione alle altre liste e saranno comunque escluse quelle che non supereranno la soglia di sbarramento del 3%. Basta questo accenno per capire che il legislatore ha voluto esemplificare il più possibile le dinamiche elettorali: lo scopo dell’Italicum è far sì che, alla fine, solo un partito ottenga comunque in aula la maggioranza assoluta, anche quando non ce l’ha nel Paese. Tant’è che non sono incoraggiati neppure i meccanismi di coalizione se non in maniera piuttosto indiretta, come dimostra il meccanismo del ballottaggio, che ha suscitato non pochi dubbi (e censure) tra gli esperti.
Dubbi non immotivati, poiché il ballottaggio è previsto tra le prime due liste se nessuno ottenesse l’agognato 40%. Le potenziali distorsioni a cui potrebbe dare adito questo meccanismo sono evidenti e non a caso il primo che ha parlato di necessità di modifiche, anche sotto il pungolo della Consulta, è stato lo stesso Renzi: considerato l’attuale caos politico, non è improbabile che una lista possa accedere al ballottaggio col 15% dei voti e ottenere poi il 40% dei seggi alla fine del secondo turno.
Inoltre, l’Italicum mira direttamente a legare le liste agli aspiranti premier ma, come già detto, non incoraggia più di tanto le coalizioni. Infatti, l’articolo 2 della legge 52-2015 si limita a un’indicazione che la dice lunga: «I partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica». È evidente che l’espressione «candidano a governare» è indicativa della volontà di privilegiare la governabilità rispetto alla rappresentanza e che l’indicazione obbligatoria del «capo» mira a imporre sin da subito l’eventuale premier (per carità, decide il Presidente della Repubblica, ma di fronte a una scelta dell’elettorato neanche lui potrebbe molto).
Le liste, come già nel Porcellum, sono tendenzialmente bloccate. Sono bloccati, innanzitutto, i capilista, a cui va il primo seggio ottenuto dalla lista. Certo, gli elettori possono esprimere fino a due preferenze, di cui una comunque “di genere”. Ma i candidati votati e non “bloccati” restano i classici “figli di un dio minore”, visto che a loro toccherebbero le briciole: verrebbero eletti, infatti, solo se la lista ottenesse più seggi in un dato collegio. E c’è dell’altro: mentre il capolista può candidarsi in dieci collegi e ha la facoltà di scegliere per quale collegio optare se venisse eletto in più zone, loro restano bloccati nel proprio territorio. Perciò devono sperare o nella forza della lista o nella benevolenza del capolista per poter accedere a Montecitorio.
Fin qui, per sommi capi la legge elettorale, sulla quale dovrà pronunciarsi la Consulta o alla quale dovrà metter mano di nuovo il Parlamento.
In sinstesi: la legge impone una maggioranza certa anche a dispetto dei desideri dell’elettorato. Inoltre impone l’indicazione o di un aspirante premier o, almeno, di un leader con cui fare i conti. Infine, come già nel Porcellum, le segreterie politiche hanno la parola finale nella compilazione delle liste.
Gli effetti di questa legge, che mira a stabilizzare il più possibile il Governo, possono essere fortissimi, visto che riguardano solo la Camera dei Deputati che, se passasse il sì, sarebbe l’unica a poter esprimere il voto di fiducia.
Inoltre, il premier potrebbe contare su una maggioranza certa che gli consentirebbe, salvo colpi di mano, di sfruttare al massimo tutte le possibilità offerte dalla riforma costituzionale, a partire dalla tempistica a tappe forzate per i disegni di legge elaborati dal governo, per proseguire con la corsia preferenziale per i decreti di legge, per finire, come temono in molti, con la maggiore facilità con cui potrebbero diventare possibili future riforme della Costituzione.
È troppo? Per molti sì, visto che una buona parte del fronte del no più che la riforma in sé, teme gli effetti della riforma combinati con l’Italicum, che farebbe la differenza tra una Costituzione pasticciata e una Costituzione tendenzialmente autoritaria.
In attesa dell’eventuale decisione dei giudici costituzionali, si possono notare alcune cose. Innanzitutto, che l’Italicum non è una “rottura dell’ordinamento” né un tentativo di golpe legale, ma si limita a portare alle estreme conseguenze il trend iniziato con il referendum del ’93, il quale ha eliminato il sistema proporzionale che aveva caratterizzato la Prima Repubblica e ha dato il via a una serie di riforme elettorali mirate al rafforzamento dell’esecutivo attraverso l’introduzione del premierato, considerato il massimo di presidenzialismo che l’Italia potesse sopportare. Così ha fatto il Mattarellum, il sistema elettorale misto a prevalenza maggioritaria, che aveva reintrodotto i collegi uninominali, così ha fatto il Porcellum, durato dal 2006 al 2014, quando la Corte costituzionale l’ha dichiarato illegittimo. Nulla di nuovo sotto il sole
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