Trentacinque anni in jazz e voglia di cantare. Parla Mafalda Minnozzi
Intervista alla cantante pavese che vive da anni tra Brasile e Usa e fonde l’originale ispirazione jazz con la bossa. La scena italiana? «Dovrebbe riscoprire le sue matrici popolari». La panedmia? «La vivo male come tutti gli artisti». Intanto, mentre continua la promozione dell’ultimo album Sensorial-Portraits in Bossa & Jazz-Deluxe Special Edition, sono in arrivo altri due dischi
Circa trentacinque anni di carriera, vissuti sempre nel segno della qualità, della ricerca e della sperimentazione.
Pavese di origine e cittadina del mondo per vocazione, Mafalda Minnozzi ha tagliato il nastro dell’undicesimo album in studio con Sensorial-Portraits in Bossa & Jazz-Deluxe Special Edition, uscito il 5 febbraio 2021 per l’etichetta Mama Producoes Artisticas e accolto con grande favore dagli addetti ai lavori e dal pubblico, aldiquà e aldilà dell’Oceano.
Grande gusto (tipicamente italiano) per la melodia, eclettismo altrettanto grande, sviluppato da anni di frequentazioni artistiche internazionali di alto livello, e un amore per la musica brasiliana, sia nelle sue manifestazioni più colte sia nelle espressioni popolari.
L’amore per l’arte, tuttavia, è anche amore per il popolo che la produce. E quello tra la Minnozzi e il Brasile è un rapporto di lunga data. Iniziamo proprio da qui.
Com’è nato Sensorial-Portraits in Bossa & Jazz-Deluxe Special Edition?
Abbiamo lavorato a Sensorial per lunghissimi anni. A pensarci bene mi perdo nel tempo: frequento il Brasile dal ’96 e fin dall’inizio ho compreso che la musica brasiliana è sacra, intensa, viscerale. È così spontanea e naturale che sembra semplice. È nata e vive per dare voce a tante anime diverse che sono impresse nella storia, prima in Africa, poi a Bahia e anche nello spirito dei poeti popolari nordestini e della borghesia intellettuale carioca. È davvero qualcosa di molto profondo, ancestrale, che fa parte del Dna di questo popolo, anzi dei tanti popoli che vivono insieme sotto lo stesso cielo. L’ho ascoltata, studiata con rispetto e cautamente ho cominciato a respirarla. Ho attivato tutti i sensi ed il jazz mi ha aiutato, con l’improvvisazione e con quei colori che continuano a stupirmi.
In questo periodo, a causa della pandemia è difficile promuovere un album. Tu come stai procedendo?
La promozione di Sensorial è affidata a Stefano Dentice della Red&Blue, un professionista di grande sensibilità. Inoltre, con le nostre forze: per supportare l’intera nostra attività musicale, io e mio marito abbiamo fondato più di venti anni fa l’etichetta Mpi e l’agenzia Mama. Pro. Art.
Parliamo ancora di Sensorial: c’è qualche brano che preferisci?
A essere sincera, non ho consigli da dare, non pongo nessun limite. Ci sono canzoni che hanno avuto un ascolto e un apprezzamento sorprendente in Spagna, Russia, Sudafrica o negli Usa e brani meno conosciuti all’interno del repertorio di Sensorial. Trovo che ogni canzone abbia una identità molto forte e suggerisco l’ascolto dell’intero disco seguendone la scaletta. Ma se fossi costretta, indicherei Dindi.
La pandemia ha fatto danni seri al mondo dell’arte. Tu come stai vivendo questo periodo?
In due modi: da un lato, malissimo e, dall’altro, cercando di superare le costrizioni dettate dalla pandemia. Noi artisti soffriamo tantissimo perché abbiamo bisogno di stare insieme alla gente, o perlomeno questa è la nostra ambizione. Questo, purtroppo, è impossibile da quasi un anno. Peggiora la situazione il fatto che io subisco il Covid-19 in maniera triangolare: lo affronto in Brasile, dove vivo, e lo ricevo dall’Italia e dagli Stati Uniti attraverso le parole di tutti i miei amici, parenti e collaboratori. Tutte queste situazioni hanno un denominatore comune di sofferenza che unisce le nostre anime e le nostre vite e stimola una riflessione: dobbiamo appellarci alla gente perché capisca che la musica e la cultura in generale sono beni essenziali, senza i quali le nostre anime non evolvono e i nostri comportamenti regrediscono. Io ce l’ho messa tutta fin dall’inizio. Ho dovuto interrompere un tour negli Usa (l’ultima data è stata il primo marzo 2020 al Birdland Jazz Club di New York). Il 6 marzo abbiamo cancellato il concerto allo Zinc Bar perché ci siamo resi conto del pericolo. Da allora vivo agli angoli in questo triangolo geografico e sentimentale ma non resto in silenzio e vado avanti con i live in streaming e con le registrazioni (ho tre diversi album in produzione) perché continuo a pensare che solo la musica può darmi l’ossigeno e la speranza verso il futuro e verso il ritorno sul palcoscenico.
Insomma, un periodo non facile. Ma anche il tuo percorso artistico non è stato semplicissimo…
È stato lunghissimo, pieno di ostacoli e sfide, ma anche di risultati bellissimi. Ho preso direzioni diverse e mi sono preparata alle tante avventure con coraggio. Al centro c’è sempre stata una grande volontà mossa dalla pura curiosità e dall’istinto musicale. Poi gli incontri, voluti e cercati con tanti musicisti e collaboratori di grandissimo talento e spessore umano. E poi lo studio, le pause, i silenzi, migliaia di concerti e la gente, l’affetto, gli abbracci, i fan, i tanti dischi realizzati e quelli a cui ho partecipato. E ancora televisione, radio, interviste, viaggi, valigie, partenze, ritorni, duetti, ore ed ore di studio di registrazione, musica scritta da me e cantata da altri, oppure le mie riletture e gli arrangiamenti riscritti per cantare le canzoni degli altri.
Una carriera lunga e impegnativa come la tua implica anche molte collaborazioni. Ne vogliamo parlare?
In oltre trentacinque anni ho collaborato con tantissimi musicisti, ma dal gennaio del 1996 ho avuto la fortuna di cristallizzare un incontro straordinario con il chitarrista newyorchese Paul Ricci. Abbiamo iniziato assieme un percorso musicale sul quale continuiamo a lavorare con lo stesso entusiasmo da anni. Collaboriamo con musicisti della scena jazzistica americana e molti brasiliani. Anche in Italia abbiamo fatto bellissime collaborazioni: Daniele di Bonaventura, Gabriele Mirabassi, Antonio Onorato e Giovanni Falzone, tra gli altri.
Hai avuto la fortuna di frequentare in maniera attiva più scene musicali. Cosa pensi, in particolare, di quella italiana? E quali aspetti ne miglioreresti?
È una domanda molto complessa, perché la scena musicale italiana ha tanti aspetti diversi, alcuni dei quali straordinari. Ci sono espressioni del mondo cantautorale italiano fortemente legati al territorio, come Mario Incudine che scrive in dialetto siciliano, e ci sono cantanti italiane che hanno belle voci e si esprimono con forza e passione. Questa è una caratteristica del belcanto italiano. E che dire della lirica, che amo tantissimo, e della classica? Tutti si rifanno alla qualità della musica classica e del melodramma italiano, a cui si guarda con molto interesse in tutte le scuole di educazione musicale. A New York, per esempio. Parlando del jazz, che più mi riguarda, ammetto che si tratta di un mondo eclettico in cui convivono tantissimi progetti. A volte il risultato raggiunto non è esattamente rotondo, perfetto, ma questo è normale nell’ambito della sperimentazione. Vedo anche progetti interessanti in ambito di riletture, come Stefano Bollani, che ha fatto lavori bellissimi coinvolgendo il mondo brasiliano, e l’opera-rock Jesus Christ Superstar. Molti altri musicisti hanno il talento di unire l’improvvisazione jazz con il tocco della musica classica, che è poi una prerogativa questa del mondo musicale italiano. Dovendomi esprimere su qualcosa da migliorare, suggerirei di lavorare di più sul folk e sulle radici della musica popolare. Artisti come Enzo Avitabile, Vinicio Capossela e Pino Daniele, ad esempio, hanno dimostrato che la valorizzazione delle ricchezze del patrimonio regionale può dare risultati straordinari in termini di dialogo tra culture. E poi rivalutare anche strumenti legati alla tradizione come il mandolino, il violino e la fisarmonica. Possono essere degli spunti per una italian way…
La carriera di una artista jazz significa anche molta attività dal vivo e tu non ti sei risparmiata affatto, visto che hai mescolato la presenza sul palcoscenico a quella sui media…
Non saprei davvero cosa ricordare o segnalare in particolare tra le centinaia di programmi radiofonici a cui ho partecipato, le trasmissioni speciali che mi sono state dedicate, i grandi spazi ottenuti nei media fino ad oggi. Posso dire però che ognuna di queste esperienze mi ha arricchito, sia quelle belle sia quelle meno belle in cui ho dovuto affrontare situazioni diverse da ciò che mi aspettavo. Proprio in tali occasioni ho imparato che nell’arte si può sempre ripiegare su una coscienza ed un rispetto verso il pubblico e verso le motivazioni che ti hanno portato su quel palcoscenico, in un programma televisivo non adatto, per esempio, o in un concorso in cui non sono riuscita a dare il meglio di me. Tra le esperienze più sorprendenti metto sicuramente quelle in cui mi sono esibita davanti ad una platea immensa, come quando ho cantato per due milioni di persone sul palco dell’Avenida Paulista di Sao Paulo nello spettacolo di San Silvestro di quindici anni fa in rappresentanza dell’Italia. Considero comunque straordinarie tutte le platee che ho avuto, indipendentemente dalle dimensioni.
Tenere certi ritmi implica una grande passione per la musica. La tua com’è nata?
È nata con me. Poi, durante la mia lunga vita artistica, l’ho alimentata consegnandomi totalmente alla musica, da cui ho ricevuto in cambio pure emozioni.
Quali valori vuoi trasmettere attraverso la musica?
Libertà, riflessione, umiltà, generosità, bellezza.
Programmi per il futuro?
I programmi futuri sono cavalli imbizzariti dentro la mia testa perché corrono più veloci di me. Cerco di fermarli, ma non ce la faccio: già immagino una produzione a Montevideo, un’altra a Lisbona, un’altra ancora a Rio, e una a Milano. E mentre penso mi accorgo che l’obbiettivo comune di tutti questi progetti è mettere insieme, un immenso spazio musicale a cui ognuno può contribuire con la propria storia musicale e la propria esperienza di vita. La mia musica è trasversale e dialoga con varie culture attraverso l’improvvisazione del jazz ma anche con la disciplina della composizione. A me piace molto rileggere brani importanti che hanno segnato la storia dell’umanità. Tuttavia, sono anche autrice e, in tale veste, ho eseguito canzoni mie e ho scritto per altri. Ma la dimensione artistica in cui meglio mi riconosco è quella di interprete, senz’altro la più vicina al mio carattere. Mi sento un’attrice che attraverso le proprie corde e le proprie esperienze dà voce ai personaggi. Perciò presto una meticolosa attenzione alla scelta del repertorio e ai testi da cantare. Ora c’è Sensorial-Portraits in Bossa & Jazz-Deluxe Special Edition. Lo porteremo in tour la prossima estate in Italia e in Europa. In Brasile uscirà a fine marzo un altro progetto e a metà anno avremo un nuovo album.
(a cura di Andrea Infusino)
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale di Mafalda Minnozzi
41,116 total views, 8 views today
Comments