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Giuseppe Costa alias Yosonu

One man band e me ne vanto, intervista a Yosonu

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Il batterista calabrese, arrivato al terzo album del suo particolare percorso solista, fa il punto sulla sua scelta creativa: una sperimentazione estrema che lascia spazio alla musicalità più spontanea…

Da batterista a one man band. Yosonu è l’ultima incarnazione artistica del calabrese Giuseppe Costa, che ha all’attivo una militanza ultraventennale (ha iniziato nel ’97) in varie band, tra cui Memories Of A Lost Soul, Marvanza Reggae Sound e Scarma.

Un primo piano di Yosonu (foto di Valeria Caudullo)

Quindi si è dedicato alla carriera solista, in cui ha adottato un approccio particolare: ricavare musica da oggetti di uso comune e dal proprio corpo. Questo stesso approccio è alla base dei laboratori di propedeutica musicale di cui è attualmente titolare.

Namastereo, uscito alcuni mesi fa per La Lumaca Dischi (leggi qui) è il terzo album di questo artista particolare.

Rispetto ai tuo lavori precedenti, in Namastereo tornano gli strumenti normali, che si mescolano con gli oggetti della vita quotidiana da cui sei riuscito a ricavare musica. È l’inizio di un’inversione di tendenza?

Nel mio ultimo album ho riscoperto le mie radici di batterista. E ho deciso di inserire ritmiche più complesse e articolate. Non ho utilizzato una batteria acustica ma un pad elettronico, che passa sempre attraverso i filtri degli oggetti che uso.  

Vuoi raccontare il tuo percorso solista?

Il mio percorso di one man band nasce dopo venti anni di esperienze in gruppi di vario genere: dal death metal al reggae, attraverso il country, il funky e lo ska. A un certo punto ho avuto l’esigenza di fare qualcosa che fosse solo mio e ho messo assieme in modo graduale la body percussion e la voce desemantizzata, il canto armonico e il suono degli oggetti. In GiùBOX,il mio primo disco, c’è molta body percussione tantissima voce. In Happy Loser mi sono spostato su ambientazioni più industriali. Per arrivare a Namastereo che si apre all’uso delle batterie che cambiano il tiro del disco. Nel tour porto sul palco le batterie elettroniche che suono sempre dal vivo senza alcun campionamento. In più nei dischi ospito musicisti che stimo. Nell’ultimo disco ci sono Enrico Gabrieli dei Calibro 35, Lavinia Mancusi e una serie di amici per gli Intro.

Una posa enigmatica di Yosonu (foto di Luce Catanzariti)

Oltre che un musicista sperimentale molto portato per l’improvvisazione, sei un architetto. Quanto ha pesato la tua formazione nell’approccio alla musica?

Il rapporto tra architettura e musica è sempre stato presente nella mia formazione: l’architettura ha un ritmo e un’evoluzione. L’improvvisazione mi dà la libertà di essere fuori da alcuni schemi. Al tempo stesso il sistema dei loop crea dei tasselli precisi e le parti vocali più aperte corrispondono a entrate di un certo tipo di luce. Nel mio percorso attuale le improvvisazioni nascono e muoiono al momento: l’architettura musicale viene spenta lentamente, il loop piano piano scompare. Al contrario, nel lavoro in studio l’architettura rimane solida.

Ti occupi di laboratori di body percussion. Sia per bambini sia per adulti. Queste attività influenzano la tua produzione musicale?

C’è uno scambio. Ho iniziato questi due percorsi in contemporanea. È affascinante osservare il movimento dei bambini, i quali non posseggono sovrastrutture. Da docente porta delle regole, ma osservo la libertà di movimento dei più piccoli sui quali poi modello la lezione.

Yosonu alle prese con la sua consolle

This Journey si tinge di un’atmosfera oscura e quasi dark. Deriva dal tuo passato death metal?

L’ispirazione per questo brano è duplice. É un suono molto alla Bjork, molto asciutto. È il brano più scarno. Ma anche il più cantato e dotato di una struttura più convenzionale. This Journey è senz’altro un brano più oscuro, perché ho scelto un basso con la voce molto grave. Inoltre, la scelta delle batterie minimali e sempre oscure arriva dal mio trascorso metal. Ma l’entrata della voce è abbastanza fragile, il cantato è sussurrato e non esprime alcuna rabbia. L’ambientazione è oscura perché è quello che sto descrivendo nel testo: un viaggio in mare con la speranza di raggiungere una meta.

Musica, web e social: ho letto che per la musica preferisci il supporto fisico. Sei sempre dello stesso parere?

I social cambiano le dinamiche di ascolto, quindi il meccanismo delle condivisioni sul web fa cambiare l’approccio: trovo triste che entro i primi i 50 secondi di ascolto si debba raggiungere il primo bridge e ritornello perché altrimenti le persone non prestano attenzione e dà parecchio fastidio che i brani debbano avere una durata breve. Dà fastidio soprattutto a me che sono un fan sfegatato del progressive, che si sviluppa in 8-10 minuti.

Yosonu in azione coi suoi “non strumenti” (foto di Silvia Cosentino)

Ma la smaterializzazione del supporto ha anche un aspetto positivo: consente a più persone di fruire della musica e a più musicisti di esprimersi. Non ti pare?

Sì, ma il rovescio di questa medaglia rischia di essere più grande della medaglia stessa: la fruizione sempre meno fisica sminuisce il valore della musica. Dopo mesi di lavoro, un disco non può essere liquidato dopo 10 secondi su Spotify. Internet è sempre più affollato di materiale. Io sono una di quelle persone che acquista i supporti perché voglio capire cosa dicono gli artisti quando scrivono gli album. 

In Punto interrogativo poni delle domande sui social…

Parlo dei social come sistema. È un brano molto anarchico, che pone l’attenzione sulla velocità con cui cambiano le cose in rete e su come la memoria storica delle persone si accorcia con altrettanta velocità. È quasi come se la verità si trovi in basso alla home di Facebook, ma tu non riesci comunque a scorrerla, perché la pagina si aggiorna di continuo.

Da Namastereo è stato estrapolato il videoclip di Cucumanda. Ci saranno altri singoli in uscita?

È in arrivo a breve il nuovo videoclip di Tristi per caso. Poi un remix su un brano di un artista che stimo molto, sempre un performer one man band, di cui stravolgo la parte musicale.

(a cura di Fiorella Tarantino)

Da ascoltare (e da vedere):

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