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Across, il Profondo Sud oltre il punk

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Intervista alla band cosentina, autrice di una ricetta sonora efficace e micidiale: hardcore più new wave…

Gli Across sono un quintetto cosentino dedito a un hardcore forte ed elaborato allo stesso tempo, ispirato alle scene italiana e statunitense degli anni ’80 e ’90 e arricchito da spunti new wave nient’affatto banali.

Questa scelta è il frutto di una lunga esperienza maturata nei circuiti alternativi dai componenti della band, che provengono da esperienze importanti come Duff, The Uncles, Tranx Kids, Lumpen, Mas Ruido e Shameless.

Gli Across

Facciamo il punto sulla loro attività con il chitarrista Luca Garro e il cantante Stefano Conforti, che animano la band assieme al bassista Mario Pulliano, al batterista Raffaele Nesi e al chitarrista Dario Gagliardi.

Duff, The Uncles, Lumpen o Shameless sono alcune delle vostre precedenti esperienze. Quanto di queste band è finito negli Across?

(Stefano Conforti) Poco prima degli Across c’è stata una piccola esperienza di un anno: L’orrore della fine. In questo gruppo c’era anche Luca Garro, assieme al quale abbiamo messo a punto l’attuale formula musicale.

(Luca Garro) Gli Across sono nati da una mia idea, un anno e mezzo fa, di suonare insieme a Raffaele Nesi. Io ho incluso Stefano Conforti e Davide Bartella, Raffaele ha coinvolto Dario Gagliardi. In un secondo momento è arrivato Mario Pullano al posto di Bartella.

Luca Garro (foto di Cecilia Vaccari)

Dal punk derivano due percorsi musicali diversi: new wave e hardcore. La prima diluisce il punk nell’elettronica, il secondo ne esalta gli aspetti più forti. Come collocate il vostro darkcore, che non è solo il titolo del vostro ep ma sembra indicare una vostra scelta stilistica?

(Stefano) L’influenza del punk è basilare, ma la accostiamo agli stilemi classici del rock. New wave e hardcore si avvicinano al nostro sound. L’hardcore somiglia in alcuni aspetti alla new wave e di conseguenza anche al pop. La new wave ha infatti una matrice pop derivata dalla dance. L’hardcore, dal canto suo, è più un modo di essere e di esprimersi che vanta tantissimi sottogeneri. Questo stile negli Usa cambia a seconda della zona: ad esempio a New York la scena è più vicina al metal e quindi si tende a privilegiare sonorità e costruzioni rock. Noi ci ispiriamo all’hardcore di Washington. Intendiamoci: ci ispiriamo a livello essenzialmente musicale, visto che non ci identifichiamo nell’approccio straight edge, prevalente in quella scena.

[La straight edge è una particolare corrente culturale dell’hardcore dalle forti matrici antinichiliste: i suoi militanti rifiutano l’uso delle droghe e dell’alcol e il sesso al di fuori del matrimonio, ndr].

Stefano Conforti (foto di Cecilia Vaccari)

Il punk e l’hardcore sono stili di vita che coinvolgono aspetti extramusicali. Come si è evoluto, secondo voi, questo rapporto tra musica e cultura? E qual è il vostro approccio?

(Stefano) Noi ci siamo incontrati musicalmente nelle piazze. Per alcuni di noi è stato determinante frequentare lo stadio per avvicinarsi al mondo punk. Io ho conosciuto la cultura underground in questo modo. In Italia il percorso hardcore è sempre stato affiancato dai centri sociali, mentre nel resto del mondo le cose sono andate diversamente. Al momento ci sono pochi locali che si interessano al punk e all’hardcore. Negli anni 2000 c’è stato un revival e di conseguenza c’erano molti gruppi che si avvicinavano a questo genere. L’interesse delle radio o dei locali era alto. Al momento i centri sociali sono gli ultimi baluardi di questo genere. I social hanno diminuito la diffusione dell’underground e dell’hardcore, cosa che per il rap non è avvenuta.

Come mai avete scritto un pezzo su Jesse James?

(Stefano) È ispirato dalla pellicola Young Gans di Christopher Cain. Fui colpito da questa compagnia di ribelli che per difendere la propria terra lotta contro un magnate che voleva costruirvi una ferrovia. È un’idea di libertà.

Si dice che un chitarrista punk può suonare altri generi. Ma un musicista jazz non può fare altrettanto. C’è un motivo?

(Luca) Nel jazz si parla molto di tecnica mentre il punk si concentra sull’attitudine, che non è un aspetto che si apprende studiando. Un jazzista non potrà mai suonare punk nella maniera giusta. Certo, suonerà alla grandissima a livello tecnico, ma non coglierà la giusta atmosfera.

(a cura di Fiorella Tarantino)

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