Un libro per riscoprire Eleonora Pimentel Fonseca
La formidabile biografia dedicata da Antonella Orefice all’eroina del 1799 napoletano colma una lacuna storica importante e completa il racconto iniziato da Croce sulla più grande rivoluzione, tentata e abortita, del Mezzogiono…
Antonella Orefice è una storica e ricercatrice che ha dedicato la sua lunga attività intellettuale allo studio della rivoluzione napoletana del 1799, con particolare attenzione alla figura di Eleonora Pimentel Fonseca, che ebbe dal governo repubblicano la direzione del Monitore napoletano, l’organo di stampa ufficiale del nuovo regime politico e strumento di propagazione delle sue idee ed attività.
Orefice può essere considerata, con tutte le cautele imposte da un simile giudizio, la migliore specialista della storia del 1799 nel Meridione. È destinato quindi a divenire un testo imprescindibile su quest’anno fatidico, che realmente segna una cesura in tutta la storia italiana, il suo saggio Eleonora Pimentel Fonseca, pubblicato nel 2019 dalla casa editrice Salerno e nella collana Profili che si fregia dei nomi di due autorità, essendo stata fondata da Luigi Firpo e diretta a lungo da Giuseppe Galasso.
Il lavoro fornisce finalmente una biografia esaustiva sulla marchesa repubblicana Eleonora Fonseca Pimentel, ricostruendo pazientemente ed accuratamente i molti aspetti finora ignoti della sua vita e della sua personalità e dandone un ritratto equilibrato.
La figura di questa giornalista e scrittrice è divenuta a posteriori oggetto di varie e contrastanti interpretazioni, sovente fallaci ed artefatte per la loro caratterizzazione ideologica o la visuale soggettiva, quasi sempre limitanti. Ineccepibilmente osserva la studiosa nelle conclusioni del suo lavoro, dopo aver riassunto lo status quaestionis bibliografico sul personaggio esaminato: «Troppo spesso si è fatto di Eleonora una figura da romanzo, interessante per quegli aspetti personali drammatici che pure è necessario evocare ma che non esauriscono il suo significato storico».
Inoltre numerose fasi della sua esistenza sono rimaste in ombra o proprio sconosciute. Antonella Orefice invece riesce a redigere un suo profilo biografico integrale: le origini del suo casato, dalla nobiltà lusitana; l’infanzia della marchesina fra Napoli e Roma; la sua formazione culturale; la frequentazione della corte e dei salotti; l’attività di poetessa; il matrimonio infelice; l’avvicinamento ai repubblicani; l’arresto; i mesi più celebri della sua vita, con la direzione del Monitore napoletano; gli ultimi giorni dopo la caduta della repubblica e la tragica morte sul patibolo.
In questo modo la storica infrange veramente il sigillo della damnatio memoriae imposto da re Ferdinando IV di Borbone sulle vicende della repubblica napoletana, di cui egli voleva fosse cancellato persino il ricordo, cosicché al sistematico sterminio dei repubblicani si accompagnò una altrettanto organica distruzione dei documenti riguardanti la loro sorte e la rimozione coatta della loro memoria destinata a durare per tutta la seconda restaurazione.
Questo ha ostacolato la successiva operazione di lenta e graduale ricomposizione degli eventi del 1799, che si è realizzata solo parzialmente e faticosamente. Ancora oggi, ad esempio, si ignora con esattezza dove sia stata sepolta Eleonora, come amichevolmente a volte la chiama la biografa, mentre si è diffusa a suo carico una gran copia di notizie inventate o deformate. Il libro a lei dedicato è un’ideale ripresa delle parole da ella pronunciate prima dell’impiccagione, con la citazione di un verso di Virgilio, Forsan et haec olim meminisse iuvabit: «Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo». Il saggio in questione è difatti concepito, palesemente, dalla sua autrice anche quale memoriale della «eredità spirituale, […] esempio, […] lezione morale» della protagonista descritta.
Si sbaglierebbe totalmente però a ritenere che il testo sia fazioso, perché la dichiarata simpatia, nel senso etimologico del termine, di Antonella Orefice per la marchesa repubblicana non deforma lo studio. La storica mantiene l’acribia e l’oggettività nella sua narrazione e nelle analisi, come si evidenzia dalla disanima delle cause del fallimento dell’effimera esperienza repubblicana. Ella sottolinea gli errori dei repubblicani, sovente ingenui, teorici e dottrinari, incapaci di cattivarsi il sostegno dei contadini che formavano la stragrande maggioranza della popolazione ed in generale di parlare al popolo, in nome del quale pretendevano di realizzare la rivoluzione.
Il crudele paradosso fu che le masse popolari furono facilmente sollevate dai borbonici contro una cerchia alla fine abbastanza ristretta di intellettuali e persone istruite, che si proponevano proprio il miglioramento delle condizioni di chi li scannò con brutalità e sadismo. Inoltre Orefice riconosce apertamente che i francesi si comportarono anche nel Mezzogiorno d’Italia come invasori ad ogni effetto, che trattarono il Sud come terra di conquista da sfruttare il più possibile.
I rivoluzionari napoletani, contrariamente ad un luogo comune, erano eredi e continuatori della tradizione illuministica partenopea e non cattivi imitatori dei rivoluzionari d’Oltralpe, erano e si consideravano patrioti e non succubi burattini della potenza francese. Il loro destino fu quindi tragico nel senso greco, poiché si trovarono serrati fra esigenze opposte ed inconciliabili, stretti fra la volontà di salvaguardare il bene della loro terra e la necessità dell’aiuto militare transalpino, tra l’aspirazione a riformare radicalmente lo status dei popolani e l’inevitabilità di combatterli come loro nemici implacabili.
Il saggio è difatti molto più di una sola biografia di Eleonora Pimentel Fonseca, poiché esso inquadra la sua vita nel contesto dell’epoca e tratteggia un quadro d’ampio respiro, riserbando largo spazio nell’opera alla situazione del regno di Napoli nel Settecento riformatore, agli antefatti della rivoluzione partenopea, alle vicende politiche e militari che condussero alla fuga di re Ferdinando IV e della sua corte, alla costituzione della repubblica ed alla sua attività, alla marcia dell’armata della Santa Fede del cardinale Ruffo, alla disperata resistenza dei repubblicani assediati a Napoli, al tradimento borbonico dei patti sottoscritti e all’ecatombe della classe intellettuale napoletana. È un dipinto che si potrebbe definire caravaggesco, per il realismo vigoroso, talora persino crudo, delle immagini e per la violenza dei chiaroscuri data da un reame in cui vi erano fortissimi contrasti sociali, economici e culturali, abitato da un ristretto stuolo di latifondisti ricchissimi d’origine nobile, una classe intellettuale fra le migliori d’Europa ma quasi separata dal popolo, una borghesia asfittica, un clero onnipresente e sterminate legioni di poveri. Simbolo e centro del regno era la sua capitale, Napoli, una metropoli immensa per l’epoca ma che riduceva a suo contado il resto del Mezzogiorno continentale, splendida per opere d’arte e miserabile nelle folle di lazzaroni stracciati e scalzi che attorniavano i suoi palazzi e chiese.
Orefice dà prova pertanto di avere anche una buona penna letteraria e, senza romanzare la storia, sviluppa uno scritto che può essere paragonato, con le debite differenze, ad un romanzo storico ottocentesco, in cui la protagonista si muove in un’opera corale affollata di personaggi: i primi ministri Bernardo Tanucci e John Acton, i generali stranieri Championnet e Mack, il colto ed idealista vescovo Andrea Serrao e gli altri ecclesiastici repubblicani, l’insigne giurista Mario Pagano autore della costituzione repubblicana, il coraggioso e capace ammiraglio Caracciolo, il medico Domenico Cirillo famoso in tutta Europa, che fu condannato a morte da re Ferdinando da egli curato per una sifilide ed il cui studio fu razziato e distrutto dai lazzari, ed innumerevoli altri personaggi, grandi e piccoli, famosissimi od oscuri.
Alcune descrizioni della professoressa sono autentici ritratti implacabili: l’immortale sir Horatio Nelson, «il più grande ed amato, ma certo non il più saggio, degli ammiragli inglesi» secondo le parole di George Macaulay Trevelyan, che a Napoli si dimostrò spietato e perfido nella sua gelida ragion di Stato; il debole, ignorante e volgare re lazzarone, Ferdinando IV di Borbone; la suggestionabile, paurosa ed implacabilmente vendicativa regina Maria Carolina; l’intrigante arrampicatrice sociale lady Hamilton; il carismatico cardinale Ruffo, apprendista stregone che seppe sollevare masse popolari contro la repubblica, senza poi poterne frenare gli eccessi; i capibanda Michele Pezza fra’ diavolo, Gennaro Rivelli, Giuseppe Pronio e Gaetano Coletta Mammone, violenti criminali aizzati e scagliati contro i repubblicani dalle autorità borboniche. Centinaia e centinaia di figure si muovono in una scena in cui si ritrova tuttavia costante, talora sullo sfondo, talaltra al centro dell’azione, un popolo senza nome e senza volto, che l’ignoranza e la miseria hanno reso facile a essere fanatizzato e strumentalizzato dai borbonici e capace di azioni di estrema violenza, non solo saccheggio ed omicidio, ma anche stupro, tortura, antropofagia.
L’ecatombe con cui si concluse la breve vita della repubblica napoletana condusse alla morte, per mano delle plebi o del carnefice di re Ferdinando di Borbone, di quasi tutta la migliore intellettualità del Meridione, in quella Napoli che era stata nel ’700 uno dei maggiori centri culturali europei.
Il libro è l’opus magnum di Antonella Orefice, in cui confluisce in un testo agile (meno di 200 pagine) ma particolarmente denso e ricco di fonti e analisi la sua ricerca pluridecennale sulla rivoluzione napoletana del ’99.
Il saggio è apprezzabile sia dal profano di storia, grazie al suo stile letterario limpido ed affascinante che ne rende la lettura a tutti accessibile ed assieme gradevole, sia dagli storici, ai quali offre un affresco coerente e completo delle turbinose vicende della caduta del regno di Napoli, della breve vita della repubblica napoletana, della prima restaurazione.
Eleonora Pimentel Fonseca s’affianca nella storiografia alla famosa opera crociana La Rivoluzione Napoletana del 1799, un libro ponderoso ed eccellente di quel gigante intellettuale che fu don Benedetto ma che a distanza d’oltre un secolo appare inevitabilmente un poco invecchiato e che inoltre si compone di una serie di squisiti cammei e medaglioni su singoli temi, senza però ricomporre un quadro d’insieme. L’opera di Orefice, al contrario, ricostruisce magistralmente l’intero contesto della rivoluzione partenopea in cui operò la direttrice del Monitore napoletano, colmando un vuoto storiografico su di un evento cruciale nella storia italiana perché rottura dell’Antico regime nel Mezzogiorno, frattura incolmabile fra la classe intellettuale e Borboni, antefatto immediato del lungo processo di unificazione nazionale.
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