Buttafuoco, lascia stare Mussolini!
Il giornalista catanese prova a “pungere” Salvini per conto del Fatto Quotidiano con il paragone pesante (e un po’ “ingrato”) con il Duce. Il risultato è un libello vacuo e sotto gli standard, anche di scrittura, a cui l’autore de “Le uova del drago” ci aveva abituati…
L’aspetto buono di Salvini e/o Mussolini (PaperFIRST, Roma 2020) è che è un libro, per la precisione l’ultimo, di Pietrangelo Buttafuoco. La firma è garanzia di sapidità letteraria servita con lo stile brillante e corroborata, qua e là, di riflessioni non banali.
Insomma, è un pamphlet che si lascia leggere bene, studiato per far breccia su quella fetta di opinione pubblica per cui Mussolini ha fatto anche cose buone: un grande centro che comprende ex elettori di An, forzisti della prima e dell’ultim’ora e persino esponenti di quella sinistra che non considera più l’antifascismo a prescindere un totem.
L’obiettivo di quest’operazione editoriale è, manco a dirlo, sfottere Salvini attraverso il paragone decisamente improprio con Mussolini. E c’è da dire che gli sfottò al Capitano non sono proprio una novità per la casa editrice libraria legata al Fatto Quotidiano che col libello dello scrittore catanese è arrivata alla terza bordata.
Il primo colpo l’ha battuto nel 2018 Antonello Caporale con Matteo Salvini. Il ministro della paura, il secondo, l’anno successivo, è toccato ad Andrea Scanzi con il Cazzaro Verde e ora è la volta di Buttafuoco.
Come a dire: dal moralismo solido dell’ex bimbo prodigio di Repubblica alla causticità liquida dell’ex critico musicale prestato (non sempre bene) alla politica. In questo processo non poteva mancare l’evaporazione, condotta sul fornello di fantasie letterarie tanto roventi quanto inconsistenti.
Già: picchiare Salvini da sinistra era scontato. Quindi il ruolo del matador non poteva che toccare a un ex nero come il catanese, perché per infilzare come si deve certi tori ci vogliono l’esperienza e la rabbia (e i livori) di un reduce. E Buttafuoco non è un reduce qualsiasi, tantomeno un reduce della destra. È un epigono di quella cultura neofascista sdoganata a cavallo del nuovo millennio dal successo elettorale di An e con la benedizione (anche editoriale) di Berlusconi.
E ciò chiarisce meglio la portata dell’operazione, tra l’altro raccontata dallo stesso autore:
«Marco Lillo, mio collega al “Fatto Quotidiano”, nella sua veste di editore mi chiede di lavorare a un libro che indaghi su questo ritorno, su questo sovrapporsi della felpa di Salvini alla camicia nera di Mussolini, sul sovranismo che sembra fascismo e, insomma, su ciò che passa – e ciò che si lega e si salda – tra i due “arcitaliani”».
Ma che (e quanto) lo scopo sia politico lo ribadisce la noticina di Lillo buttata in apertura del volumetto, come si fa con lo zucchero nel sugo per togliere un po’ d’acidità al pomodoro, in questo caso per sfascistizzare un po’ Buttafuoco:
«È più interessante talvolta uno sguardo originale ma dissonante rispetto ai nostri valori, di chi è radicato in una cultura lontana, dell’ennesima analisi condivisibile ma già sentita, “dalla parte giusta”».
Purtroppo, e qui arrivano le note dolenti, lo sguardo di Buttafuoco è poco originale perché, ripetiamo, quella cultura neofascista è sdoganata: non c’è nulla, nelle pagine di Salvini e/o Mussolini che non abbia già detto – con più brevità e meglio – Marcello Veneziani o che non avrebbe detto il compianto Giano Accame, giusto per fare due nomi illustri.
Intendiamoci: nessuno chiede a un giornalista, ancorché brillante e dotato di grandissima penna come Buttafuoco, analisi che metterebbero in difficoltà fior di politologi per operare i giusti distinguo tra fascismo, neofascismo e destre radicali. O meglio, per riconoscere che fascismo, neofascismo e destra radicale sono fenomeni diversi.
Ma da qui a banalizzare il problema, che c’è ed è più serio di quel che si pensi, ne corre.
A scorrere le pagine di questo pamphlet costruito a botte di aforismi pepati (ma anche mandorlati, come da tradizione sicula) sembra di risentire l’eco del mitico Catenacci, la macchietta di Giorgio Bracardi: «Quando c’era Lui…». Infatti, solo un fascistone da avanspettacolo potrebbe prendere sul serio i paragoni inconsistenti del giornalista catanese.
Che c’azzecca Italo Balbo con la Meloni? E che c’entrano le traversie – politiche, esistenziali e culturali – del giovane Mussolini con la carriera, tutto sommato aproblematica, del leader leghista?
Il paragone tra il leghismo 2.0 e il fascismo, storico o immaginario non importa, è fuor di luogo come quello tra i rispettivi protagonisti. Perché non è un paragone tra due movimenti e i loro capi ma tra due Paesi diversi.
Che c’entra l’Italia rurale e profonda degli anni ’20 con quella volatile e postmoderna di oggi? Cosa c’entrano i ceti popolari, in buona parte analfabeti ma sanguigni, che legittimarono Mussolini, con la postborghesia (in cui l’analfabetismo è di ritorno e fa più vittime) che spopola nel web?
Tuttavia, dobbiamo ammettere che Buttafuoco ha azzeccato almeno una cosa: il filone rivoluzionario, che inizia con Garibaldi e finisce con Craxi, in cui ha infilato il Duce. Ma neppure questa intuizione è farina del sacco del catanese, che se solo si fosse voluto dimostrare un tantinello più originale o sensibile, avrebbe aggiunto alla conta il suo corregionale Crispi, il più garibaldino dei risorgimentali e il più prefascista dei liberali.
Il resto è un calembour di citazioni buttate più o meno alla rinfusa e a sproposito (il confronto tra il giovane Salvini comunista-leghista e Nicola Bombacci è semplicemente improponibile) che contribuiscono a espellere Salvini e/o Mussolini non solo dalla saggistica leggera ma anche dalla polemica giornalistica tout-court.
Le 154 pagine del libello, tuttavia, scorrono via che è una bellezza, ma con altrettanta facilità si dimenticano, segno che la penna è molto ma non è tutto.
E, aggiungiamo, questa stessa penna non è più quella tagliente e raffinata che – mescolando Pirandello, La Rochelle e Camilleri – ha comunque partorito gli intarsi superbi de Le uova del drago e le sublimi provocazioni di Cabaret Voltaire.
Il tempo passa per tutti, eccome se passa, e Buttafuoco non fa eccezione. Tant’è che riesce a sbagliare l’unico paragone potenzialmente azzeccato:
«Come fare il confronto tra Rita Hayworth e non so chi, laddove Mussolini è la femme fatale hollywoodiana e Salvini è – al più – una Elettra Lamborghini, calzante come esempio perché quest’ultima è un’irresistibile influencer».
A voler restare nella cultura pop, Buttafuoco avrebbe potuto osare di più nel paragonare figure estreme e materie roventi. Ne azzardiamo uno noi: Mussolini potrebbe essere un John Holmes o una Moana Pozzi, laddove Salvini sarebbe al più un Rocco Siffredi o una Sasha Gray. I primi incarnano l’idea di trasgressione grazie anche alle loro esistenze tragiche, i secondi sono passati dall’hard al pop senza colpo ferire.
Mussolini operò la sua trasgressione politica nel secolo, grande e drammatico, delle ideologie. Salvini non trasgredisce nulla, anzi esegue sin troppo alla lettera le regole della comunicazione social, che impongono di trasgredire di tutto, a partire dalla sintassi.
Il lascito mussoliniano, come quello di Holmes e della Pozzi, ha vissuto a lungo in canali più o meno clandestini. La memorialistica del Duce è sopravvissuta in convegni frequentati da pochissimi e con circospezione, editori tra il piccolo e il minuscolo e bancarelle di libri più scalcinate dei remainders incalliti. Come le prodezze dei due divi proibiti, relegate alle sale a luci rosse e alle vhs e ai giornaletti visti di nascosto e ben occultati nei mobili di casa.
La destra radicale salviniana e non solo sta alla cultura politica come Youporn ai classici dell’hard: è la versione user friendly della paura, il marketing dell’odio virale, l’estremismo da supermercato, che perde ogni carica reale in base al principio per cui le cose più pesanti alla fine diventano leggere per abuso eccessivo.
Ed è proprio la parabola di Buttafuoco: quindici anni fa fece sognare tanti reduci del neofascismo sdoganando nel mainstreem le disavventure politicamente scorrettissime di un’eroina nazista.
Ora, che quella cultura è sdoganata del tutto, l’ex ragazzo prodigio della destra scrivente ne raccoglie i cocci come può, per ricordarci quel che sappiamo già: Salvini e la Meloni sono i becchini della cultura di destra, quella vera, ormai recepita da almeno cinque lustri dalla sinistra pensante.
Dopo che Cacciari ha riabilitato Evola e ripreso Miglio, dopo che Martelli, tra i tanti, cita Schmitt e si rifà a Socialismo Tricolore del compianto Accame, agli epigoni come il giornalista catanese non resta che tirare in testa alla destra di oggi per ribadire che quella di ieri valeva qualcosa, incluso il neofascismo. E pazienza se, per far questo, Buttafuoco ha creato un fuoco fatuo, tanto brillante quanto inconsistente. Ma se ne può fare una ragione comunque: in fin dei conti, gli resta l’islam.
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