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Francesco Di Bella

Venticinque anni da alternativo, parla Francesco Di Bella

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Intervista al frontman dei 24 Grana, che ha rifondato la storica band napoletana dopo sette anni di carriera solista (che continua ancora): dagli esordi nella Napoli “calda” dei centri sociali agli esperimenti colti. Il rapporto con l’arte e le insidie del mainstream. E l’esperienza da fumettaro con ‘O Diavolo

Il percorso musicale di Francesco Di Bella parte dai 24 Grana, storica band della scena indipendente napoletana.

Di Bella, dopo diciotto anni con il mitico gruppo reggae rock, ha intrapreso, a partire dal 2013, la carriera solista, restando nel solco della napoletanità, interpretata con un respiro musicale e artistico più ampio possibile.

Un primo piano di Francesco Di Bella

La tua scintilla iniziale è stata Curre Curre Guagliò dei 99 Posse. Da allora ti sei tuffato nel mondo della musica, dove nuoti ancora. Com’è stato quell’inizio, nel cuore degli anni ’90?

Ho iniziato, com’è noto, con i 24 Grana. Allora, sembrava che in Italia sembrava ci fosse spazio per esperimenti sonori importanti in cui la propria territorialità si mescolava col rock, la new wave e il reggae chi portava il rock, new wave e il reggae. E poi c’era la scena dei centri sociali: una rete che permetteva di percorrere tutto lo Stivale e che dava forti opportunità. Poi dopo ho iniziato la carriera solista. Non sono una vittima della nostalgia, ma cerco di seguire i normali cambiamenti della mia vita e dell’epoca in cui vivo.

Cosa è davvero cambiato secondo te rispetto agli anni ’90 nella scena musicale? E in che modo il passare degli anni ha influito sul tuo approccio?

L’esperienza dei 24 Grana è durata diciotto anni e ha lasciato molte tracce, tra dischi e concerti. Ad un certo punto ho avvertito l’esigenza di annusare altro. Ma aggiungo che sono molto contento di aver ricostituito la band: ci siamo ritrovati dopo tante esperienze che ci hanno consentito di mettere nuova benzina nel motore. Ci siamo messi in discussione, cosa importantissima, e abbiamo preso una salutare distanza dai cliché. La scena musicale è cambiata ed è un bene. Negli anni ’90 c’era senz’altro più libertà e una maggiore sperimentazione. Una maggiore libertà, soprattutto nella politica e nella socialità: erano anni di ribellione, di cui ancora oggi si sente l’influsso. Il rock alternativo è nato un po’ allora: cercavamo formule nuove al di là del mainstream. Credo siamo riusciti ad affrontare bene i cambiamenti senza restare prigionieri dei nostri schemi. Non mi pare poco.

Hai collaborato con vari musicisti, spesso provenienti da generi ed esperienze diversissimi dai tuoi. Ciò ti ha fatto uscire non poco dalla tua confort zone. Che stimoli hai ricevuto?

Le mie collaborazioni non hanno mai avuto un fine commerciale, ma sono state tentativi di esprimermi. Ho sempre cercato artisti che potevano dare un contributo maggiore al mio modo di scrivere: Riccardo Sinigallia, Neffa, Marina Rei, i 99 Posse e tanti altri, con cui ho avuto il piacere di condividere un pezzo del mio percorso.

Francesco Di Bella all’opera

La musica, la poesia e l’arte in generale hanno una funzione sociale. Ma sono comunque un lavoro. Come mai questo settore è sempre discriminato? 

L’arte crea documenti e su di essi basiamo la nostra conoscenza e il ricordo per le generazioni future. L’arte però è anche deviante e pericolosa per lo status quo. E molto spesso si tende a sminuire gli artisti che hanno una visione un po’ più ampia e non cercano solo il successo commerciale. Quando l’arte dice veramente qualcosa allora diventa fastidiosa. 

A proposito di socialità: sei legato alla tua città e a Gianturco. Ma soprattutto a Officina 99. Questi luoghi di incontro come si sono evoluti dagli anni ’90?

Ci sono due cose importanti nella propria territorialità. Una riguarda il cuore del territorio, e quindi, nel mio caso il dialetto napoletano e le canzoni classiche della tradizione partenopea. L’altro riguarda le periferie che esprimono una territorialità globalizzata, dove non sei più a Napoli ma in una qualsiasi periferia. Ho sempre vissuto questa doppia tensione tra il cuore della città e la periferia. La città è la tradizione, le periferie sono il cambiamento e tutto ciò che si evolve. 

Francesco Di Bella posa con la chitarra

È uscita recentemente la graphic novel ’O Diavolo. Come stata quest’esperienza?    

È una cosa che mi lega a Cosenza, poiché l’ho realizzata insieme a Luca Scornaienchi. Mi è sempre piaciuta l’idea di confrontarmi con altri artisti e fare della mia musica materiale per altri ambiti. Quando Luca mi ha proposto la cosa ero entusiasta e penso sia stata una bella esperienza: un modo diverso di esternare il mondo che cerco di raccontare con le canzoni. ’O Diavolo, come sa chi mi segue, è anche il mio ultimo disco solista, in cui ho messo in musica i personaggi che io e Scornaienchi ci siamo inventati e che sono i protagonisti della graphic novel.

(a cura di Fiorella Tarantino)

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