La grande bugia borbonica, un libro smonta i «sudisti»
Il volume di Tanio Romano fa giustizia dei luoghi comuni più beceri (e falsi) del “revisionismo” antirisorgimentale. Un pamphlet polemico che parla al grande pubblico
È uscito nel dicembre del 2019 il libro di Tanio Romano La grande bugia borbonica (Lecce 2019), che si propone intenzionalmente la demistificazione dei contenuti di quella corrente magmatica composta da una pletora di movimenti, gruppi, scrittori e giornalisti che pretendono di operare, secondo le loro parole, una revisione del Risorgimento, ovvero della sua storiografia.
Avvocato siciliano (è nato a Messina) e storico dirigente e presidente nazionale dei Giovani avvocati italiani (Ugai), Romano è stato citato in varie pubblicazioni, dopo aver denunciato alcuni scandali, rilanciati dai media nazionali.
Ora ha deciso di scrivere un libro di confutazione del cosiddetto revisionismo del Risorgimento. L’asse attorno a cui ruota quest’ultimo, nella sua pluralità di pubblicisti e propagandisti, è la rivisitazione nostalgica del Regno delle Due Sicilie, accompagnata da una visione critica e negativa del processo d’unificazione italiano. Romano si prefigge di smontare questo storytelling nei cinque capitoli del suo libro: Le mille balle blu; La dittatura mediatica dell’Eden borbonico; I Borboni? Antimeridionali; Una dinastia di dittatori razzisti; E non finisce qui. Ogni capitolo, di diversa lunghezza, è poi ripartito in una serie di sottocapitoli.
La demolizione del revisionismo operata nel libro è serrata e falcia una quantità impressionante di errori storici, da inesistenti primati delle Due Sicilie alla mitologia di Fenestrelle lager, dall’agiografia di quel fenomeno criminale che fu il brigantaggio alla demonizzazione di protagonisti dell’Unità.
Alcuni sbagli di revisionisti riportati dall’avv. Romano sono davvero marchiani, come trasmutare re Vittorio Emanuele II nel suo nipote re Vittorio Emanuele III, oppure scrivere che Cavour avrebbe ordinato una rappresaglia sulla popolazione civile di Pontelandolfo nell’agosto del 1861, quando il Gran Conte era già morto e sepolto da mesi! Si è preteso di vedere nell’azzurro, colore sociale del Napoli calcio, un omaggio ai Borboni (che però avevano il rosso od il bianco come loro colore), mentre invece tale colore è quello araldico dei Savoia! I casi di simili errori riportati in La grande bugia sono numerosissimi e non possono essere qui citati interamente, anche solo in breve.
La grande bugia demolisce anche un’impressionante collezione di falsi fotografici propalati sulla Rete da anonimi propagandisti: deportati in un lager nazista spacciati per prigionieri borbonici a Fenestrelle; una bambina libanese, con accanto una bottiglia di plastica, fatta credere per Angelina Romano, bimba siciliana morta nel 1862; teste di cinesi tagliate durante la rivolta dei Boxer descritte quali quelle di contadini di Isernia decapitati; armeni uccisi dai turchi nel corso del genocidio armeno trasformati in italiani del Sud ammazzati dai piemontesi.
Romano porta alla luce anche una galleria di citazioni inventate o falsificate estrapolandole dal contesto, come quelle attribuite a Farini, a Bixio, a Gramsci, all’Unesco, persino al cantautore Pino Daniele ed altri ancora, come Giuseppe Garibaldi.
Non finisce qui: Romano si sofferma inoltre su altri miti revisionistici: l’emigrazione quale conseguenza dell’unificazione, la supposta piemontesizzazione, il fantomatico colonialismo interno del Nord sul Sud, e li smantella agevolmente, mostrandone l’inconsistenza.
Sono apprezzabili in La grande bugia anche le dense pagine in cui l’autore riporta le citazioni, questa volta veritiere, di personalità coeve al Regno delle Due Sicilie che espressero giudizi duri o durissimi su di esso.
È il caso di Luigi Vanvitelli, l’architetto della reggia di Caserta, dell’ammiraglio Nelson che riportò il re lazzarone sul trono, dell’alleato e protettore (e per alcuni anni di fatto padrone) del reame borbonico, il principe di Metternich, Di Carlo Filangieri, generale di Ferdinando II e Francesco II.
Furono, tutti loro, uomini vicini politicamente alla dinastia dei Borbone di Napoli.
Ma gli osservatori italiani e stranieri che condannarono, privatamente o pubblicamente, le condizioni in cui si trovava il reame borbonico sono stati molto più numerosi e Romano li cita in gran quantità.
Fra essi spiccano celebri e celebrati meridionalisti come Giustino Fortunato e Francesco Saverio Nitti. Alcune citazioni di frasi negative verso il Meridione borbonico sono davvero taglienti, e toccano una buona parte della dinastia, a partire da Ferdinando I (e dalla sua consorte Maria Carolina), a finire con Ferdinando II.
Un intero capitolo, il quarto, è riservato alla descrizione dei re lazzaroni, di cui fornisce una galleria di ritratti implacabili e indimenticabili, con cui l’autore menziona l’incultura, la rozzezza e la doppiezza rintracciabili nella storia dei Borbone di Napoli.
Il testo di Romano denuncia anche le assurdità metodologiche dei revisionisti. Ad esempio, ricorre nei loro scritti l’asserzione secondo cui vi sarebbero documenti segretati di storia del Risorgimento, a cui non si potrebbe accedere, ma di cui costoro contraddittoriamente scrivono come se conoscessero il contenuto. Insomma, questi documenti si possono consultare o meno? Peggio ancora, non esiste alcun segreto di Stato in Italia su documenti ottocenteschi, essendo caduto da moltissimo tempo.
Altro leitmotiv di molti nostalgici dei Borboni è la mania complottista e lo scorgere motivi occulti ed intrighi (massonici per lo più) ovunque, in assenza di prove ed erigendo castelli in aria.
Il cosiddetto revisionismo del Risorgimento ovvero la sua storia alternativa non ha in pratica alcuna accettazione in ambito accademico, ma ha ottenuto una qualche diffusione sociale principalmente grazie all’uso (e abuso) della Rete.
Gli storici universitari, con rarissime eccezioni come Alessandro Barbero, non hanno neppure degnato di una confutazione i revisionisti per la palese erroneità delle loro tesi, ma così facendo hanno lasciato che tale pubblicistica si propalasse presso un grande pubblico privo di preparazione storica adeguata.
Il libro di Tanio Romano mira a fornire a questo grande pubblico una demistificazione del cosiddetto revisionismo, in forma comprensibile a chiunque ma con contenuti storicamente esatti e colma un vuoto fra gli specialisti e il cittadino comune nella storiografia sul Risorgimento.
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Buongiorno Egr. Tanio Romano,
ero stato tentato di acquistare il suo libro per confrontarlo con le tesi opposte. Però prima, come prova della sua oggettività , vorrei avere la sua versione su come mai, come si leggeva nei sussidiari delle elementari degli anni ’50, la prima ferrovia in Italia fu la Napoli-Portici e come mai Mongiana in Calabria fu sede di una fabbrica siderurgica, successivamente smantellata con la realizzazione delle fabbriche di Terni . In base alla sua equilibrata risposta mi riservo di comperare il libro e leggerlo con attenzione.
Cordiali saluti
Michele De Toma
Egregio De Toma,
Come direbbero a Roma, “facciamo a capirci”: lei non sta scrivendo a Tanio Romano ma, più semplicemente, commenta una recensione al libro di Tanio Romano (che è avvocato e non semplicemente “dottore”) scritta da Marco Vigna.
In questa recensione sono esposte le tesi del libro, sulle quali in buona parte concordiamo, sia Vigna sia Io.
Per il resto: perché non espone i suoi quesiti direttamente all’autore del volume, che è facilmente rintracciabile attraverso i social?
Ricambio i saluti e le cordialità
Saverio Paletta
Se i meridionali furono sfruttati dai Savoia,come talvolta vien detto,spiegatemi come mai nel 1946 il 90% dei cittadini del Sud e delle Isole votò per la Monarchia sabauda e applaudi’ a scena aperta il Re Umberto II in visita! Erano pazzi,i meridionali? Per NULLA! E se il segretario di Togliatti nel 1996 non ci avesse fatto sapere che il leader comunista parlò del referendum del 1946 come “un parto da PILOTARE”,non sapremmo quasi nulla anche sui brogli che fecero vincere la repubblica.
Egregio Cagliari,
Ormai, per quel che riguarda il referendum del ’46, è andata ed è inutile recriminare settantacinque anni dopo.
Ci furono brogli? Non ne dubito. Il Sud votò comunque massicciamente la monarchia? Senz’altro, ma non nella percentuale che indica lei.
Su quelle vicende penso quanto segue: senz’altro i comunisti “pilotarono” il referendum grazie alla loro organizzazione capillare e alla loro capacità di propaganda (unita, ovviamente, alle generose sovvenzioni sovietiche). Lo “pilotarono” anche perché il Fronte popolare, quello che avrebbe perso nel ’48, aveva davvero, più del blocco cattolico e del residuo blocco moderato, un interesse concreto alla forma di governo del Paese (una monarchia avrebbe resa più difficile un’eventuale transizione legale al socialismo). Tuttavia, si può dire al di fuori di ogni equivoco che il consenso alla repubblica fu in larga parte spontaneo perché la sconfitta bellica aveva screditato Casa Savoia.
Sulla bilancia della storia pesò a sfavore sia la fuga del re da Roma sia la tragedia in cui precipitò il Nord, dove la guerra civile si sovrappose a quella militare.
Ormai siamo una repubblica e dobbiamo prenderne atto. Anche con un po’ di sollievo, aggiungerei io, considerato il non ottimo spettacolo di sé che danno spesso i rampolli delle aristocrazie europee.
Per noi de L’IndYgesto la storia non è una questione di tifoserie, ma di ricostruzione imparziale e crediamo sia antistorica la divisione in “curve” (sabauda vs borbonica o monarchica vs repubblicana).
Comunque, Le prometto che ci soffermeremo sulla caduta della monarchia.
Grazie per l’attenzione,
Saverio Paletta
Non ho ancora letto il libro di Romano, ma lo farò presto. Sono interessato al Risorgimento italiano ed a capire la verità storica. Mi piacerebbe approfondire sia le tesi degli uni che quelle degli altri. Prima di convincermi della bontà di una tesi, vorrei approfondirle entrambe. Ad esempio il fatto di Pontelandolfo è uno di quegli argomenti controversi, in cui si scontrano tesi contrapposte. Ma potremmo parlare di Fenestrelle o di altri episodi. Che però sono solo episodi e non dimostrano di per se la validità di una tesi. Una cosa che ancora mi sfugge, ma sicuramente sarà chiara a molti di voi, è il r controverso e conflittuale rapporto tra i siciliani intesi come abitanti del Regno di Sicilia e il Regno di Napoli divenuto dopo il congresso di Vienna Regno delle due Sicilie. Infatti, fu in tale circostanza che la Sicilia perderà il rango di Regno con capitale Palermo, per finire ad essere una sorta di protettorato del Regno di Napoli con a capo la dinastia de Borbone con Ferdinando I° di Borbone. Quindi alla tesi dei “Neoborbonici” mancherebbe questo tassello, o almeno non viene messo in evidenza che lo Stato unitario delle due Sicilie, non sarebbe stato veramente tale, in quanto mancante di un tassello essenziale, la Sicilia. Sarei molto grato a chi volesse segnalarmi testi su cui approfondire tale argomento.
Vorrei segnalare al signor Joseph che l’opposizione siciliana alla politica del governo di Napoli, oltre ai motivi più strettamente politico-istituzionali che ricorda nel suo intervento, nasceva da ragioni economiche solidissime. Su questo aspetto, meno noto ma decisivo, esistono alcuni studi: ma mi astengo dal citarne perchè sarei in conflitto di interessi. Tuttavia è un tema assolutamente da approfondire.
Egregio Joseph,
Mi complimento per una cosa: Lei ha l’approccio giusto.
Sulla questione siciliana, un corpo a sé nella storia del Sud pre e post unitario, esiste una letteratura spaventosa, per mole e taglio delle analisi.
Io, al posto suo, inizierei con Salvatore Lupo e Mack Smith. Poi, come si suol dire, l’appetito vien mangiando.
Ma, attenzione: la roba è così tanta che c’è da fare indigestione…
Inoltre, il neoborbonismo è un fenomeno essenzialmente “continentale” e specificamente “napoletano”. Solo la distorsione del web impedisce di cogliere questo curioso “igp”.
Per il resto, buona lettura e buona giornata.
E grazie per l’attenzione
Saverio Paletta
Suggerirei al signor Nicola Patronario la lettura del libro “Colonne mobile en Calabre dans l’année 1852” un diario scritto dal chirurgo del 13° battaglione Cacciatori, che si chiamava Rilliet. Scoprirà che Ferdinando II contro i “patrioti meridionali” mandava le truppe per eliminarli.
Ringrazio l’autor;ha raccolto una serie incredibile di bufale che da anni girano nella rete, girano in TV ( compiacenti) e giornalettini ( compiacenti ) . Ma non possiamo liquidare questo fenomeno con qualche risata. C’e qualcosa di ben piu’ profondo , si sente puzza di ……. di molte cose..
Che il libro ha ” disturbato” qualcuno e’ evidente. Ma questo fa onore all’autore e rende il libro piu’ interessante . Penso che commenti come quello di PATRONARIO NICOLA ne arriveranno tanti . Sappiamo bene come si muovono certi gruppi . Complimenti all’autore
Finalmente un libro che, con ironia e soprattutto con documenti, fa piazza pulita di tutte le fandonie e le invenzioni con cui i neoborbonici alla Pino Aprile stanno cercando di creare divisioni e odi tra gli italiani e di cercare capri espiatori alla crisi del Sud, dovuta alla incapacità, alla mediocrità, spesso alla collusione delle classi dirigenti del sud degli ultimi decenni. Il sig Patronario è invitato a leggere, libri di storia e a documentarsi prima di scrivere tante stupidaggini. E si ricordi anche che del Risorgimento furono protagonisti anche molti meridionali
Ignorante savoiardo,l’eccidio di Pontelandolfo fu ordinato dal criminale Cialdini, come rappresaglia per l imboscata a 40 bersaglieri da parte dei patrioti meridionali. La becera abitudine di scrivere boiate come il suo esimio collega Barbero è di non consultare archivi nazionali è svolazzare con la fantasia, non rendendovi che così accrescete odio con i nordisti che è arrivato già a un punto critico.
Egregio Patronario,
passi che non sappia scrivere (come denuncia la sistematica confusione tra la “e” congiunzione e la “è” verbo). Capita.
Passi anche che non sappia leggere: il pezzo che contesta non è un “attacco” diretto all’immaginario neoborb che Lei difende a spada tratta. È la recensione, fatta da uno storico professionista, a un libro che critica il revisionismo neborbonico scritto tra l’altro da un avvocato siciliano.
“Savoiardo” anche lui e, magari, “traditore della razza”?
Per quel che riguarda Pontelandolfo, vada a leggere le boiate che i suoi beniamini hanno scritto per anni e troverà anche quella su Cavour.
Tuttavia, ciò che non può passare è la sua estrema maleducazione. Questa volta Le rispondo a tono, senza tuttavia trascendere.
La prossima volta, non Le risponderò e la segnalerò volentieri alla Polpost. E non perché ho l’uzzolo della querela a tutti i costi (che invece qualche Suo beniamino esibisce con chi osa contraddirlo).
Lo farò per tutelare l’immagine di questo giornale e dello staff che vi collabora.
Adesso mi limito a pubblicarLa per far capire ai nostri lettori a che punto possono arrivare le cattive creanze di certe persone.
A non più risentirla e dedichi le sue attenzioni altrove
Saverio Paletta
Ho acquistato il libro e lo sto leggendo, in contemporanea a quello di Barbero su Fenestrelle. Un ottimo lavoro!