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Mysoginia, un altro prodigio del prog tricolore

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Impegno sociale e grande musica nel settimo album dei torinesi Syndone, dedicato alla denuncia della violenza contro le donne

I toni enfatici con cui molti lo hanno accolto forse sono fuori luogo, perché il peggior servizio che si possa rendere all’arte è l’enfasi.

Ma Mysoginia, nono album dei torinesi Syndone, attivi dal lontano ’89 e punta di diamante della preziosa nicchia del prog italiano, merita.

I Syndone

Non solo per la tematica (l’odio verso la figura femminile, a prescindere se sia uomo o donna chi lo manifesta), ma soprattutto perché l’album, uscito quest’inverno per la Maracash, è un bell’esempio di art rock, come forse non se ne ascoltava da un bel po’ specie alle nostre latitudini.

Bello l’artwork di copertina, dedicato al suicidio di Evelyn McHale, che ispirò Andy Warhol e traumatizzò Robert Wiles, il giovane fotografò che immortalò l’immagine della giovane morta sul tetto di una limousine ai piedi dell’Empire State Building, da dove si era gettata.

Ma belli soprattutto i nove brani dell’album, concepiti con raffinatezza e interpretati alla grande da una band che si dimostra ancora in piena forma, come se trent’anni pesassero solo in esperienza e non in stanchezza… magari fosse per tutti così.

La copertina di Mysoginia

Il sestetto torinese si presenta con una formazione stabilizzata a due anni dal fortunato Eros e Thanatos (2018), comprendente il leader Nik Comoglio, autore delle musiche e tastierista di spessore, l’istrionico front man Riccardo Ruggeri, una specie di Robert Plant borghese dalla voce acuta e potente e dal notevole piglio teatrale, il raffinato bassista Maurino Dellacqua, che si alterna tra la versione elettrica del suo strumento e quella synth, la vibrafonista e tastierista Marta Caldara, il tastierista Gigi Rivetti e il batterista Martino Malacrida.

A impreziosire il sound, che di suo tende già all’orchestralità, degli ospiti a dir poco prestigiosi: il flautista Vittorio De Scalzi, membro storico dei New Trolls, il chitarrista Gigi Venegoni degli Arti & Mestieri, che dà un tocco più rock senza snaturare le raffinatezze fusion della band, e la cantante Viola Nocenzi, attualmente in forza nei Banco. Più il Coro dei Piccoli cantori di Torino e la Budapest Scoring Symphonic Orchestra, diretta per l’occasione dal maestro Francesco Zago. Il tutto a riprova dell’attitudine particolare dei Syndone, che usano l’elettronica in maniera creativa ma prediligono un approccio acustico.

Con risultati che è possibile apprezzare sin dall’open track, la strumentale Medea, che parte con delicatissimi arpeggi di pianoforte, si sviluppa su fraseggi fusion, ben armonizzati dai giochi del vibrafono e del piano elettrico, che duellano sui giri liquidi del basso, ed esplode in un crescendo rock, sostenuto dalla chitarra corposa ma mai invadente, che a sua volta duella con l’Hammond.

A proposito di odio verso le donne, non si può fare a meno di notare come i Syndone abbiano voluto dedicare i titoli di testa del loro Mysoginia alla forma più distruttiva di odio verso la donna: quello dell’eroina greca, che arriva ad odiare sé stessa al punto di distruggere la propria prole e, con essa, ad annientare la propria funzione di madre.

La tematica del femminicidio si fa più canonica in Red Shoes, ispirata a Zapatos Rojos, l’installazione dell’artista messicana Elina Chauvez, dedicata alle centinaia di donne violentate o uccise a Ciudad Juarez, città della frontiera settentrionale del Messico.

Il brano, cantato in inglese, è all’altezza della tematica: un prog dalle atmosfere settantiane marcato dall’organo che ruggisce su tempi veloce e dal refrain lento, interpretato da Ruggeri con toni plantiani e impreziosito da un breve duetto tra chitarra e synth. Da manuale il crescendo finale sottolineato dagli archi.

Il flauto di Nocenzi introduce Caterina (dedicato a Caterina de’ Medici), un brano dalle atmosfere notturne vagamente jazzate e dall’appeal teatrale, interpretato con grande pathos dal cantante, che si muove benissimo tra gorgheggi drammatici e declamazione.

Le atmosfere musicali diventano retrò in 12 minuti, una ballad che ruota sul pianoforte e sull’organo, in cui la misoginia viene cantata dal punto di vista dei misogini, uomini o donne non importa, con una costruzione melodica che rinvia all’avanspettacolo degli anni ’40. Notevole lo stacco centrale, in cui il pianoforte lancia un duetto jazzato tra chitarra e tastiera, che sfocia in un fortissimo tipicamente fusion e si placa nei ricami delicati del piano elettrico e del vibrafono.

I toni da pièce teatrale si fanno più marcati nella suggestiva Evelyn in cui Ruggeri duetta alla grande con la Nocenzi per ricostruire la tragedia della McHale.

La title track, introdotta dal Coro dei Piccoli cantori di Torino, strizza l’occhio alla fusion più dura, con cambi di tempo e scorribande delle tastiere, in cui Ruggeri declama i versi manifesto dell’album come se fossero slogan: «Uomo vile/hai paura di perdere il potere/Uomo vile/Donna figlia di madre fredda».

In bilico tra prog e fusion, con marcati accenti settantiani, anche la seguente Woman, in cui il dolcissimo refrain e il tema maestoso di matrice crimsoniana evocano atmosfere cinematiche.

A proposito di atmosfere, c’è da dire che i Syndone riescono ad essere grandiosi anche nelle situazioni più rarefatte, come in No Sin, che si regge sulle raffinatissime tessiture del vibrafono e su un’interpretazione a dir poco commovente, che evolve in un crescendo dolce pieno di pathos.

Chiude la dolcissima e malinconica Amalia, introdotta da un bellissimo assolo di violino e dagli arpeggi del pianoforte prima di crescere in un tema romantico e maestoso interpretato prima dalle tastiere e poi dagli archi. Il riferimento, in questo caso, va agli alfieri del grande prog italiano, soprattutto Banco e Pfm.

Di nuovo i Syndone, ma stavolta a colori

Cerebrali quel che basta ma senza mettere da parte il cuore, i Syndone confermano la loro particolare attitudine, in bilico tra autoralità e virtuosismo.

Il prog, in fin dei conti è anche questo: la capacità di arrivare all’anima attraverso la mente e di conciliare ragione e sentimento mettendo l’una al servizio dell’altro.

I Syndone, garbatamente old school ma con lo sguardo rivolto al futuro, esprimono appieno lo spirito dei grandi anni ’70, i migliori della musica che amiamo.

Mysoginia è come un buon vino: va assaggiato più volte prima di scoprire tra i suoi solchi il gusto di un piccolo capolavoro.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale dei Syndone

Da ascoltare:

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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