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Wild Nothing: quanto è pop la nostalgia degli ’80?

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Indigo è il nuovo album della band di Jack Tatum, che continua a rievocare i lustrini del decennio del lusso. Si sprecano le citazioni, Cure e Spandau su tutti, con un pizzico di malinconica nostalgia per il tempo andato

Wild Nothing o della nostalgia. Le etichette affibbiate al progetto di Jack Tatum, che dal 2009 macina album, ep e singoli con costante successo, si sprecano: dream pop e new wave sono le più abusate.

E ci stanno, perché il cantautore della Virginia ribadisce questo approccio stilistico anche nel recentissimo Indigo, uscito a fine estate per la Captured Tracks sotto la supervisione di Jorge Elbrecht.

La copertina di Indigo

Ma la sintesi del messaggio artistico di Tatum è più grande: la passione maniacale per il vintage anni ’80, evocato, rivitalizzato e interpretato con grande coerenza e quel pizzico di innovatività che serve a ricordare che da allora sono passati trent’anni.

Grazie all’aiuto dei compari di sempre (il bassista Jeff Haley e il chitarrista Nathan Goodman) e dei nuovi soci (il batterista Elroy Finn e il tastierista Matt Kallman) il giovane cantautore ripropone un viaggio totale nelle atmosfere più classiche del decennio di latta, oggetto del desiderio di molti, soprattutto tra i millennials e nella switch generation, e delle riflessioni di altri, gli over 40, che hanno vissuto in pieno quel periodo di lustrini ancora analogici.

Jack Tatum

Inutile parlare di generi specifici, perché il citazionismo di Tatum è più sfacciato e si rivolge ai singoli artisti.

E non è un caso che Letting Go, open track e singolo apripista, si tenga in bilico tra new wave e new romantic ed evochi contemporaneamente i Cure e gli Spandau Ballet.

Oscillation prosegue sulla stessa linea new wave, ma con un maggior carico di elettronica e un refrain più arioso e radiofonico che sfiora il pop (quasi d’obbligo il riferimento ai Cocteau Twins).

Partners In Motion è un funkettino ballabile in cui le tastiere affogano letteralmente la chitarra. Roba così i quarantenni di oggi l’avranno sentita in tantissime feste dell’adolescenza.

Più minimale Wheel Of Misfortune, in cui Tatum riesce a dare, grazie alla sua voce particolare, un tocco malinconico a un motivo altrimenti allegro.

I riferimenti alla new wave ritornano nella più complessa Shallow Water, che si snoda su una serie di controtempi marcati dal basso in piena evidenza sulle percussioni elettroniche. Se non è vintage questo…

New wave più chitarre liquide e tastierone analogiche in Through Windows, in cui di nuovo i Cure e gli Spandau si danno la mano con un piacevole contrasto tra arrangiamenti tenebrosi e melodie ariose.

Atmosfere più rarefatte e minimali nel semilento The Closest Thing, impreziosito dai tocchi di un sax tenore.

Dollhouse è un breve interludio strumentale elettronico carico di atmosfera.

In Canyon On Fire tornano a fare capolino i Cure. Non fosse per la timbrica vocale di Tatum, senz’altro più pulita e regolare di quella di Robert Smith, sembrerebbe di ascoltare una nuova versione di Lullaby, più veloce e più heavy, grazie agli interventi marcati della chitarra elettrica.

Flowed Translation, grazie ai suoi tempi dispari, è un esempio di dream pop di nuova generazione dai suoni leggermente meno vintage.

Bend chiude l’album con un’atmosfera cupa e cadenzata. Senz’altro l’episodio tendenzialmente più dark, sebbene sia il genere ottantiano che riesce meno a Tatum, troppo pulito e troppo melodico per inquietare davvero. Infatti, la melodia sognante del coro ricorda che il cuore dell’artista americano batte pop.

Jack Tatum e i Wild Nothing al completo

Torniamo a Indigo nel suo insieme e alle riflessioni da cui siamo partiti. Difficile dare un’etichetta alla produzione artistica dei Wild Nothing e, più in generale, agli artisti che come loro si dedicano al risveglio-rievocazione delle sonorità degli ’80. E in questo gruppo includiamo i rockettari e i metallari dediti all’aor o al classic metal che riesumano le sonorità dei loro beniamini, i quali sembrano vivere a loro volta una seconda giovinezza.

Si potrebbe parlare, per tutti loro, di internet revival. Cioè di quel fenomeno particolare di rottura del tempo lineare provocato dalla rete, grazie alla quale i classici dell’era analogica convivono con i prodotti post-switch, creati per girare da subito in rete e bypassare i media tradizionali (che invece seguono la logica lineare).

Tatum e soci sono dei brillanti interpreti di questa colossale macchina del tempo che trasforma la nostalgia in materia artistica viva.

Buon ascolto e buoni ricordi.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale dei Wild Nothing

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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