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Con The Magpie Salute torna il grande southern rock

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High Water I è il primo album di inediti della band di Rich Robinson e degli altri naufraghi dei The Black Crowes, dodici brani carichi che evocano le atmosfere della grande musica a stelle e strisce

Dei The Magpie Salute sappiamo tutto. Sappiamo che sono uno spin off dei mitici (per i millennials, un po’ meno per chi si è abbeverato ai mitici anni ’70) The Black Crowes, fondato nel 2016 dal chitarrista-cantante Rich Robinson, da anni in dissidio artistico col fratello Chris, assieme al chitarrista solista Marc Ford e al bassista Sven Pipien, anch’essi ex corvi.

Sappiamo, ancora, che il nome deriva da una specie di rito apotropaico. Sappiamo, infine che High Water I, uscito da poco per la Mascot e distribuito da Eagle Rock, è il loro vero esordio, visto che il precedente The Magpie Salute (2017) era un album di cover.

La copertina di High Water I

Sappiamo, infine, che il numero I del titolo indica che è già pronto un High Water II, che uscirà nel 2019, inciso nelle stesse sessioni di studio. Un po’, per cambiare genere, come fecero i vecchi Helloween con The Keeper Of The Seven Keys, previsto come album doppio ma splittato in due uscite.

Detto questo, scendiamo nell’analisi dei dodici brani di quest’album, che ha già conquistato i favori della critica ed è iniziato a volare in classifica.

The Magpie Salute dal vivo

Southern doveva essere e southern è. E l’open track Mary The Gypsy lo conferma: riff serrato, ritmica martellante, grazie all’apporto del bravo batterista Joe Magistro. Il tutto condito dal piano honky tonk di Matt Slocum (anche lui presenza storica del southern rock). Ottima la performance del cantante John Hogg, rauco quel che basta per stare nei canoni del genere, ma senza eccessi.

The High Water, dotata di una bella melodia sognante, è un esempio efficace di crossover tra folk-rock e country: introdotta da un riff in strumming, procede in crescendo su armonie ariose decorate dai suoni nasali della chitarra di Ford. Una buona operazione nostalgia, dedicata ai Crowes, che a loro volta erano nostalgici dei Roaring Seventies.

Send Me A Omen è un rock blues tosto che rinvia un po’ ad alcune cose dello storico Jeff Beck Group, specie per la somiglianza tra la timbrica di Hogg con quella del Rod Stewart degli anni d’oro.

For The Wind, coi suoi cambi di atmosfera repentini, che vanno dalla ballad al rock blues, è un caleidoscopio di citazioni, in cui le Gazze citano di tutto, da Bob Dylan agli Stones per culminare con gli Allman Brothers.

A questo punto manca solo la ballad completa, il pezzo che si può persino ballare senza temere che qualche cambio di tempo guasti la festa: la romantica Sister Moon, con le sue scansioni in ottavi e le atmosfere eteree provvede allo scopo come si deve.

In Color Blind tornano le suggestioni folk, soprattutto nell’attacco acustico, e gli influssi country, stavolta nel crescendo marcato da una bella armonizzazione di basso. Ottima ancora la prestazione di Hogg, che regge bene un cantato soul senza lasciarsi andare alla tentazione dell’acuto o dell’urlo a tutti i costi.

Take It All è un blues tostissimo che saccheggia di nuovo Stones e Allman Brothers. Nulla di particolarmente innovativo, ci mancherebbe. Ma evidentemente il metro di Robinson e soci è l’efficacia e, da questo punto di vista, il brano funziona alla grande.

Più quieta e radiofonica, Walk On Water sembra uscita da una compilation di vecchi successi della East Coast.

Hand In Hand è un divertissment tra il rag time e l’honky tonk. Bello l’arpeggio in fingerpicking infiorettato dai fraseggi veloci e liquidi del piano.

You Found Me è la seconda ballad dell’album, in cui la band si dedica ad atmosfere più intimiste.

Un altro arpeggio in fingerpicking introduce Can You See, che cresce in un rock blues che sembra uscire di peso da un album degli Stones degli anni ’70. Ma si è capito che le Gazze non hanno il complesso della citazione, tant’è che Hogg fa il verso a Mick Jagger in maniera a dir poco sfacciata.

La chiusura di High Water I è affidata a Open Up, un rock acustico cadenzato e a tratti sognanti, con una linea melodica robusta e un’interpretazione non dissimile da alcune cose del Robert Plant degli anni ’90.

Sulla base di quest’album sappiamo già cosa aspettarci dai The Magpie Salute nell’immediato futuro: un altro album nel segno della nostalgia per il decennio più importante del rock.

Un’altra suggestiva foto della band dal vivo

Una nostalgia riflessa, visto che le Gazze non fanno altro che riprendere da dove The Black Crowes avevano lasciato, cioè nella rievocazione di suoni e di atmosfere seppellite dalle coltri elettroniche o heavy (ma comunque griffate) degli anni ’80.

Per chi si è nutrito di rock vero, l’ascolto di High Water I potrebbe persino essere superfluo: non c’è accordo o nota o percussione che non evochi il vintage e non sappia di deja vu.

Ma di questi suoni il rock ha un disperato bisogno e allora ben vengano gli esperti, siano essi Corvi o Gazze, capaci di restaurarli e restituirceli in maniera così vitale e fruibile.

Tutto vorremmo tranne che questi suoni finiscano in un museo. E allora godiamoci pure il rock di Robinson e dei suoi compari senza troppe storie.

E la creatività? E l’innovazione? Un’altra volta…

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale dei The Magpie Salute

Da ascoltare:

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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