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Big Bang, la nascita dell’Universo secondo Alain Simon

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Il nuovo concept del compositore francese racconta le origini del cosmo con un viaggio tra space e world music, suggestioni progressive e incursioni nel funky

Oltre il passato celtico, raccontato con la saga di Excalibur. Oltre l’omaggio a Madre Terra, celebrata con il concept all stars Gaia nel 2003. Oltre le rock opera storiche, come Anne de Bretagne.

Stavolta Alan Simon, l’ultimo dei menestrelli celtici, si dedica nientemeno che alla nascita dell’universo, col suo Big Bang, uscito a marzo per Babaika, un concept musicale in cui convivono ambient, new age e tocchi pinkfloydiani.

Chiaro che in un’operazione del genere (ben riuscita, diciamolo subito) i toni celtomedievali e le atmosfere pompose e a volte marziali del passato passano in secondo piano, a favore di sonorità più rarefatte ed eteree, sennò che space music sarebbe?

Concepito tra i castelli della Loira, Big Bang parla parecchio italiano: è stato registrato al Drum Code in Liguria e coprodotto da Marco Canepa, che si occupa anche delle tastiere e della programmazione. Italiani sono anche i turnisti che suonano nell’album e la prima guest star, Alberto Tiranti, cantante della progressive metal band Labyrinth.

La prevalenza dell’apporto tricolore non deve fare scordare che Simon ha una vocazione multinazionale. E non è un caso che all’album partecipino un’orchestra ceca, l’arpista-cantante e star della world musica Alan Stivell, Michael Sadler, big del prog canadese e cantante dei Saga, e John Halliwell, mitico sassofonista dei Supertramp, con cui Simon è in sodalizio artistico da anni.

Il risultato di tanto impegno e di tante forze è un album solido e sobrio, senza eccessi strumentali né ridondanze.

La copertina di Big Bang

Il Big Bang non è solo un momento: è una scansione di attesa, esplosione ed espansione. E non è un caso che l’album inizi con Prologue of the First Day, una breve suite orchestrale condita da suoni elettronici e scorribande di archi e pianoforte.

Segue Chaos, dall’impostazione minimale e a tratti rarefatta, caratterizzata da un bel giro di basso e dagli interventi eleganti del sax di Halliwell. Efficace anche il crescendo finale che evoca atmosfere epiche.

Suoni dilatati in Alpha Centauri, in cui il sax contralto si innesta su una base di piano e archi con interventi leggeri del coro.

Dinamica e con sonorità vagamente rock Seven Moons in the Sky, impreziosita dal cantato polifonico e dai consueti interventi di Halliwell.

Ancora minimalismo in Interstellar, che colpisce per la sua delicata trama di poliritmi ed elettronica.

Epica e (finalmente) con qualche riferimento celtico, Solarius, in cui le voci di Stivell e Tiranti si fanno largo in un arrangiamento denso e arioso.

The Soul of the Stars è un efficace esempio di world music, riveduta e corretta da flash chitarristici pinkfloydiani.

Decisamente più movimentata, al limite del ballabile, Starlight, che non sfigurerebbe in un lounge discobar.

Moon è un altro pezzo di minimalismo floydiano, in cui Halliwell si produce in un’altra prestazione superba e delicata, su un tappeto di tastiere innervato qui e lì da fraseggi di chitarra.

Starlightè un bel brano per piano e orchestra che inscenano letteralmente una melodia raffinata e vagamente triste.

Dopo un attacco minimale, l’ennesimo, Space Time evolve in un crescendo dinamico marcato dalle melodie del sax.

The Journey è un divertissment ballabile a metà tra il funky e la disco, in cui le acrobazie degli archi e l’elettronica richiamano le atmosfere spaziali.

Fools è una canzone epica in cui Tiranti scorda il metal ma performa in maniera virile e convincente assieme a un coro femminile.

Chiude l’album The Waltz of the Universe, un’altra piece orchestrale, che non sfigurerebbe in una scena del miglior Kubrick.

Forte, in qualche momento pomposo (il che, in questo contesto non guasta), Big Bang è la classica colonna sonora per far vagare la mente, grazie alla capacità di Simon di raccontare le immagini attraverso le note.

Non sappiamo se davvero la nascita dell’universo sia avvenuta nel modo in cui ce la racconta il compositore francese. Fatto sta che quelli della Nasa l’hanno preso così sul serio da regalargli le immagini con cui sono stati confezionati la copertina e il booklet dell’album. Nel dubbio ascoltiamolo: alla meno peggio, quella di Simon è sempre poesia in musica di gran classe. E ciò non guasta. Anzi.

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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