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I 5Stelle sbancano a Sud ma non sono meridionalisti

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Hanno solo capitalizzato il malessere della metà sfortunata d’Italia, che ha punito chi li ha governati finora

I “terroni” hanno premiato anche la Lega, che ha ottenuto risultati importanti persino in Calabria

Il Meridione ha compiuto un’importante rivoluzione e ha inciso sulla vita politica come non mai.

Ora i vincitori non devono deluderlo

Dopo le elezioni dei presidenti di Camera e Senato c’è chi si lecca le ferite: gli accordi tra Lega e M5S hanno deluso chi aveva visto negli ex grillini l’opportunità di rilanciare una nuova “Questione Meridionale”.

Intendiamoci: la partita è aperta e l’elezione di due cariche istituzionali, importanti quanto si vuole ma politicamente platoniche, può non essere indicativa.

Molto si capirà dal modo in cui saranno strutturate le Commissioni, dove si esercita quel po’ di potere reale che resta al Parlamento e dove la politica negozia più agevolmente con le lobby.

E ne sapremo di più quando inizieranno a spuntare i papabili per la successione a Gentiloni, che si annuncia tutt’altro che facile.

Ma torniamo alla delusione di chi negli ultimi mesi aveva sperato, più o meno in buonafede, nella possibilità di una collaborazione con i pentastellati, percepiti più o meno come un contenitore vuoto e pronto ad essere riempito con idee e umori preesistenti e “laterali”, magari sulla scia dei buoni rapporti del passato recente.

Tutto lascia credere che quest’illusione sia il frutto di un abbaglio. Certo, i precedenti incoraggianti non sono mancati: tra questi l’entusiasmo con cui alcuni rappresentanti del Movimento di Di Maio hanno abbracciato e lanciato l’idea della “giornata della memoria” dedicata alle presunte vittime meridionali del Risorgimento.

Ma, ad approfondire un po’ questa vicenda, emergono alcune cose che non quadrano.

Innanzitutto, non tutto il Movimento 5Stelle è compatto attorno a certe proposte. Si pensi alle posizioni assunte dagli esponenti veneti, assolutamente in linea con i desiderata del governatore (leghista e bossiano) Zaia in occasione del referendum per lo Statuto speciale.

Certo, gli ex grillini napoletani hanno flirtato con i neoborbonici di De Crescenzo, ma tutto sembra essersi fermato alle dichiarazioni d’intenti. E in altre regioni del Sud, ad esempio la Calabria, vari esponenti di M5S non sapevano neppure cosa fosse la “giornata della memoria” né chi fossero Pino Aprile o Antonio Ciano.

Tutto questo a dispetto dell’endorsment elettorale fatto per mesi dall’ex direttore di Oggi.

L’origine di questo errore di valutazione è piuttosto banale: aver scambiato la risposta dei territori per un progetto politico. I pentastellati hanno capitalizzato in maniera esplosiva il malessere del Sud – soprattutto a danno del centrosinistra, che da Roma in giù è uscito con le ossa fracassate – ma ciò non fa di loro dei meridionalisti, allo stesso modo in cui non era meridionalista il Pd, ancora egemone in varie amministrazioni regionali e locali del Mezzogiorno.

Ora, perché Salvini e Di Maio non dovrebbero dialogare? A dispetto della “diversità genetica” invocata da Roberto Fico poco prima di essere eletto coi voti della Lega, i due partiti si somigliano sin troppo. Più politicamente delineata, la Lega di Salvini non è più un movimento settentrionalista, non almeno come ai tempi di Bossi. Gli ex grillini, non del tutto radicati a livello territoriale, restano un brand di incerta fisionomia, in cui si mescolano umori di destra e pulsioni di sinistra, ansie di riscatto e una non meglio precisata voglia di giustizia. Un populismo a misura del Sud? Sì e no. Perché a misura del Sud è risultata anche, in buona parte, la ricetta politica che ha consentito all’ex antimeridionalista Salvini di superare la linea del Tevere e di ottenere parlamentari meridionali.

Ecco il punto: la Lega è senz’altro un partito di destra, ma i 5Stelle non sono (o non sono ancora) una forza di sinistra: la Lega non è più il partito del pregiudizio antimeridionale, ma i 5Stelle non sono (o non ancora) un partito meridionalista.

L’unica cosa su cui si può concordare con i delusi dall’inciucio (che non c’è, perché è un semplice accordo politico realizzato in Parlamento, che è poi il luogo per eccellenza degli accordi politici) è che il Sud è stato trainante per il cambiamento da cui in tanti si aspettano la nascita della “terza repubblica”.

È stato decisivo senz’altro per i pentastellati, che hanno sfondato alla grande. Ma lo è stato anche per il progetto politico di Salvini, che grazie ai voti dei “terroni” è riuscito a dare al suo movimento quella dimensione nazionale che finora gli era mancata.

Stupisce perciò l’errore di valutazione di professionisti consumati come Lino Patruno e Pino Aprile, dovuto forse al comprensibile timore del riflusso, a cui sono destinati i movimenti culturali che non riescono a bucare nella vita sociale. Quest’ultimo, in particolare, ha invitato i parlamentari pentastellati eletti al Sud a sabotare Di Maio qualora cedesse al tentativo di accordarsi col centrodestra. Ma questo stesso invito i meridionali devono rivolgerlo anche ai parlamentari leghisti del Meridione, qualora il loro partito esibisse per l’ennesima volta velleità bossiane.

Già: queste elezioni hanno dimostrato solo che senza il Sud non si va da nessuna parte e che perdere il Sud, come dimostra la parabola del Pd, significa perdere l’Italia e, viceversa, prendere il Sud dà la possibilità di sedere nella stanza dei bottoni.

Un’opportunità storica da non sprecare per il Mezzogiorno che in effetti, nell’ultimo trentennio, ha dato tantissimo e perso troppo.

Ovviamente non c’è da augurarsi che Salvini e Di Maio governino assieme, ché di populisti ne basta uno solo. Ma bisogna sperare che prevalgano il buonsenso e la necessità di dare risposte che non si fermino ai gesti simbolici e alle pose anticasta.

Ai meridionali è stata chiesta una rivoluzione e l’hanno fatta. Ora devono vigilare perché gli interessi di bottega e di fazione e le beghe territoriali non prevalgano: sarebbe davvero troppo finire dalla padella dei “demoni” alle braci dell’incertezza.

Saverio Paletta

 

 

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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