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Affaire Bellomo, come mai un anno di silenzi?

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Tutto partì da una denuncia in Procura. Perché le notizie sul consigliere delle minigonne sono uscite a procedimento quasi concluso?

Comunque vada a finire il procedimento disciplinare in cui è coinvolto, è probabile che l’ultima parola sul magistrato barese Francesco Bellomo l’avrà Gian Antonio Stella, che sul Corriere della Sera gliene ha dette di tutti i colori, di sicuro con una prosa più elegante e toni meno arroganti di quelli con cui il consigliere di Stato sotto accusa si è espresso nella sua intervista, pubblicata sempre dal Corrierone.

Bellomo respinge il paragone più pesante fatto dalla brava Virginia Piccolillo, con lo sputtanatissimo Weinstein («Weinstein è un produttore che ti può bloccare la carriera. Io non sono la casta, sono uno che ne sta completamente al di fuori e questo ha un peso su ciò che sta accadendo»), ma ne crea uno, con Einstein, non solo per difendersi ma per contrattaccare con un ennesimo spot («Tutti i geni, anche Einstein si sono dovuti difendere dagli attacchi di chi non ne conosceva le idee. Non avrei voluto divulgare le mie, ma sono venute fuori. Allora, perché non dite che funzionano? Le mie allieve (e i miei allievi) hanno superato il concorso più di quelle di qualunque altro corso»).

La modestia, insomma, non è proprio il forte di Bellomo, neanche ora che rischia il posto e, forse, qualcos’altro.

Ha ragione, il consigliere di Stato, a definire la sua «una vicenda di costume». E questo costume, diventato un malcostume così forte da dare nell’occhio, riguarda tutti, anche i genitori delle presunte vittime dei presunti abusi del prof magistrato, che prima di sborsare quattrini e di assecondare ambizioni (i figli so’ sempre piezz’e core) dovrebbero chiedersi che ambienti frequentino i pargoli.

La storia, come ormai sanno tutti, è esplosa dapprima su Il Fatto Quotidiano, poi, man mano, è stata ripresa (e rilanciata) da Repubblica, infine, dopo un martellamento continuo su Il Giornale, notoriamente non affettuoso verso la categoria giudiziaria, è atterrata sul Corrierone.

«Non è vero finché non lo scrive il giornale», si diceva una volta per indicare il peso dell’informazione professionale. E ora, che lo scrivono quasi tutti, che si dovrebbe dire? Bellomo ha dalla sua solo due grandi testate meridionali: Il Mattino, che è stato il promo quotidiano a consentirgli la replica, e La Gazzetta del Mezzogiorno, che ha commentato con un altro spot («Il brillante magistrato sotto azione disciplinare», titola il giornale pugliese) l’apertura da parte della Procura di Bari di un fascicolo a carico del magistrato.

Ciò si spiega, probabilmente, con il ruolo preponderante della cronaca giudiziaria nei media meridionali e con la conseguente importanza dei rapporti tra giornalisti e tutori della legge, soprattutto magistrati.

Ma, al netto di tutte queste considerazioni, occorre chiedersi: come mai il metodo Bellomo ha riscosso tanto successo? Al punto da convincere le aspiranti borsiste ad accettare contratti che un giurista (anzi, una persona sana di mente) rimanderebbe al mittente?

La risposta è nel modo con cui è stato finora impostato il concorso in magistratura. Il motivo per cui le scuole di magistratura hanno avuto tanto successo è perché le prove scritte si sono basate su tracce su argomenti ultraspecifici, che sembravano quiz.

Un metodo riprovato da illustri giuristi, ma che ha decretato la corsa all’iscrizione a questi corsi: molti li hanno frequentati con la speranza che i propri prof azzeccassero la traccia.

Insomma, è stato un mercato postlaurea piuttosto fruttuoso, a cui è arrivato un timido freno solo con le prove dello scorso luglio, consistite in tracce più generali, in cui la preparazione complessiva (quella che l’Università e questi postlaurea dovrebbero assicurare) dovrebbe pesare di più della semplice fortuna.

Bellomo sarà senz’altro il genio che dice di essere, ma tanti addetti ai lavori lamentano la non elevata qualità delle nuove leve della magistratura. E, a leggere molte sentenze e ordinanze spesso redatte coi piedi, è difficile dar loro torto.

A questo punto è doverosa una domanda: come mai l’affaire Bellomo è emerso solo in questi giorni? Chi, a parte il padre della presunta vittima del magistrato, ha vuotato il sacco coi media, a partire dal Fatto?

Dall’efficace ricostruzione di Repubblica si capiscono alcune cose.

La prima: il procedimento a carico di Bellomo è iniziato circa un anno fa, in seguito alla denuncia presentata del genitore della ex del magistrato alla Procura di Piacenza.

Seconda cosa: non si sa che fine abbia fatto il fascicolo aperto a Piacenza (i giornali che si occupano della vicenda parlano genericamente di denuncia o di lettera, in realtà tutto lascia pensare che si tratti del classico esposto-querela). Ciò vuol dire che a carico del magistrato potrebbe non esserci solo un procedimento disciplinare.

Il che apre un altro problema: che fanno o cosa hanno fatto gli inquirenti informati del caso mentre il procedimento disciplinare davanti al Consiglio di Stato, istruito dal presidente Alessandro Pajno procedeva piuttosto celermente?

Terza cosa: gli atti del processo, divulgati a dire il vero in maniera un po’ disordinata, sono usciti fuori solo a istruttoria terminata e quando, come riporta La Gazzetta del Mezzogiorno, il Consiglio di presidenza guidato da Pajno, non ha raggiunto un verdetto unanime sul destino del magistrato.

Questo passaggio fa capire come l’attenzione mediatica su questa vicenda, dolorosa per tutti i protagonisti a dispetto dei toni gossippari con cui è stata trattata, somigli sin troppo a una richiesta d’aiuto all’opinione pubblica.

Un sos anticasta, insomma, prontamente accolto dai giornali. Anche da quelli più filomagistrati, come Il Fatto.

Già: le Procure non parlano, ma nel frattempo Bellomo riesce a denunciare a sua volta il genitore dell’aspirante magistrata piacentina. Da certi corridoi (spesso sin troppo prodighi di notizie) non escono carte, ma nel frattempo anche il sostituto procuratore Davide Nalin della Procura di Rovigo, finisce nel mirino del Csm perché braccio destro di Bellomo.

Ora, forse Bellomo non fa parte della casta. Ma il Consiglio di Stato è una casta. Prova ne sia l’anno di silenzio su un procedimento disciplinare che, anche nelle sue battute iniziali, avrebbe potuto benissimo attirare l’attenzione.

Ci si ferma qui, per non scadere nelle illazioni pure.

Certo è che anche un’opinione pubblica scadente come quella italiana ha il diritto di giudicare le proprie élite per quello che fanno anche quando non le elegge. A prescindere se siano costituite o meno da geni come Bellomo.

Per saperne di più:

Corriere della Sera 1-Editoriale di Gian Antonio Stella

Corriere della Sera 2-Intervista di Virginia Piccolillo

Repubblica

La Gazzetta del Mezzogiorno

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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