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Due parole a proposito di Matera

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Marcello Veneziani lancia la polemica: Matera non è una capitale, ma una fortezza nel deserto. Forse non è così e Matera è un sos del Sud all’Ue e al mondo: ci siamo anche noi e sappiamo fare qualcosa

Non mi è parso vero di leggere una voce critica sull’iniziativa di Matera capitale della cultura europea.

Finora su questo avvenimento – diciamolo subito: di importanza capitale per il Sud – abbiamo assistito solo a una serie di tentativi, a volte grotteschi, di mettere il cappello, da destra come da sinistra.

E invece no: Marcello Veneziani, intellettuale doc e terrone “avvilito” per autodefinizione, ha parlato chiaro, in un bell’articolo apparso su La Verità del 19 gennaio. Matera non è, non può essere una capitale, perché attorno non ha nulla. È, ha giustamente ribadito il raffinatissimo editorialista, una specie di Fortezza Bastiani che troneggia solitaria in quell’immenso Deserto dei Tartari a cui si è ridotto il Sud, incapace persino di produrre quegli intellettuali tutti chiacchiere e umanesimo antiquario irrisi dai capitani d’industria.  

L’articolo di Marcello Veneziani su Matera

Matera è solo una bellissima città, un museo all’aperto che aspetta di rivivere. Magari per far capire che il Sud c’è, sebbene dissanguato da un’emigrazione che ricorda quella dell’inizio del XX secolo. C’è da dire, al riguardo, che la piccola Basilicata in questo Sud è un’eccezione, un territorio che comunque prova a tener botta, a dispetto delle polemiche e degli scandali, che altrove sono diventati norma distruttiva. Funghi che nascono dal marcio e divorano anche questo.

Ma l’idea di rendere Matera capitale della cultura europea va ben oltre (anche, forse oltre le intenzioni di organizzatori e spin doctor) il desiderio di offrire al mondo una città per turisti, piena di antichità, tipicità e prelibatezze.

Matera capitale della cultura potrebbe essere un tentativo serio di emancipare il Meridione del suo kitch, dal suo nazionalpopolare tutto arguzie che però fuori dai copioni dei comici alla Zalone serve a poco e vale ancor meno.

Potrebbe essere il tentativo di dire che il Sud è Europa e che l’Europa deve accorgersi del Sud.

Non mi piace affatto la corsa ai primati e la ricerca della bellezza “nonostante tutto”: difendere un territorio che “non funziona” e maltratta i migliori, non si può, non si deve più. Ma, a proposito di funzionamento, c’è da dire che la Basilicata dà i punti alle vicine. Non ha la criminalità violenta della Campania né quella omnipervasiva della Calabria. In compenso ha il petrolio, che è l’anticamera dell’industria vera (che al Sud non c’è stata quasi mai) e potrebbe diventare una risposta più radicale del turismo ai mali atavici del Mezzogiorno.

Non voglio essere dietrologo, perché uno come Veneziani (che alla fine dei conti ha fatto meno marchette e compromessi di molti altri giornalisti e intellettuali “di grido”) non lo merita, ma viene il dubbio che questo suo pezzo su Matera sia motivato anche da un’intenzione politica. Cioè sia la ciliegina “culturale” su una torta velenosa diretta all’estabilishment lucano, già sotto attacco giudiziario e – quindi – politico. Quest’estabilishment può avere (e magari li ha) tutti i difetti delle classi dirigenti meridionali. Ma proprio non gli si possono attribuire le colpe di aver isolato il proprio territorio e di averne inibito la crescita. Tutt’altro, visto che in vent’anni la Lucania ha surclassato la Calabria, tallona la Puglia e “morde” il Cilento. Si è lavorato e i risultati ci sono: ecco perché Matera e non Reggio o Napoli o Lecce. Ecco perché i sassi tra i monti e non il mare.

Migranti meridionali degli anni ’60

Diciamolo con estrema sincerità: quel Sud carico di potenzialità che, una volta risolti i suoi problemi, potrebbe esplodere a livello mondiale non esiste. Contro questo Sud ideale del riscatto militano due ostacoli quasi insuperabili: la geografia e la geopolitica, perché i quattrini, il potere e la produttività stanno altrove e non da ora.

Il Sud è periferico e marginale e tutto il resto è conseguenza. Questi problemi possono essere leniti ma mai risolti del tutto. E l’unico modo di lenirli è aggrapparsi con le unghie e coi denti, con la tenacia della disperazione, all’Italia e all’Europa. Un aspetto che tra l’altro Veneziani coglie benissimo, quando dice: «Poi vennero le Regioni e fu il principio della fine».

Il contrasto tra il Sud di prima – povero e piagato ma pieno di speranze e possibilità grazie anche alle strutture accentrate dello Stato che tagliavano le distanze tra centro e periferia – e quello di oggi non potrebbe essere più forte.

Ma per coglierlo meglio occorrerebbe che il Veneziani di oggi, «terrone avvilito», facesse i conti col Veneziani di ieri, terrone pimpante intellettuale di punta di quella destra che ha avuto più di una responsabilità dell’attuale situazione del Mezzogiorno.

Mi riferisco in particolare ad An, piena di meridionali fino all’orlo e che, tuttavia, non ha saputo frenare – ma anzi ha assecondato – la corsa all’autonomismo.

Doveva essere il partito italiano che guardava al Sud, è stato un partito paesano che pensava in vernacolo. Eppure quella An, i cui militanti leggevano Veneziani e che lo stesso Veneziani non ha mai smesso di fiancheggiare nonostante fosse stato preso a pesci in faccia dai suoi big, è stato l’ultimo partito che ha fatto contare i “terroni” per davvero. Solo che questi “terroni” tutto hanno fatto fuorché badare al Sud.

Ecco, questo dovrebbe bastare anche per servire la verve polemica di chi sostiene che oggi comandano i “terroni”: non confondiamo gente che è arrivata al potere per caso (e che non ha colpe sostanziali del degrado attuale) con persone che ci sono arrivate seguendo un percorso e una tradizione politica e poi hanno – loro sì colpevolmente – deluso le speranze.

E davvero in questa situazione si vorrebbe trasformare il Sud in un’unica, immensa zona franca? Senza il controllo tignoso di istituzioni sovraordinate, ciò significherebbe rendere prigionieri i meridionali che si ostinano a restare di quelle stesse classi dirigenti responsabili del degrado. E finiamola, una buona volta, di paragonare il Meridione alla California o alla Florida: il confronto tra una terra di civiltà antica in perenne declino e tra terre di antica selvaticità è fuorviante e pericoloso, a meno che non si scambino le immagini patinate di soap e fiction per la realtà. A meno che non si voglia credere che la California sia la Hollywood di Beautiful e le spiagge di Baywatch (Pamela Anderson inclusa). Proprio no.

Siamo seri e torniamo a Matera. Che poi significa chiedere all’Europa: siamo qui, possiamo ancora fare qualcosa, aiutateci. Lo Stato si riprenda la Sanità, i trasporti e tutto ciò che è regredito. Al resto pensiamo noi. Magari sbarazzandoci di un po’ di quel provincialismo e di quel bigottismo incolto, di quella micragna piena di paure che è la stimmata del meridionale doc.

L’Europa aiuti i più bravi a sopravvivere in un territorio marginale e a farlo crescere nonostante i suoi limiti tutelando i bravi e gli onesti.

Ecco, in questo senso Matera può essere una fortezza e diventare una capitale. Il resto son sogni e chiacchiere.

Saverio Paletta

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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