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Aldo Moro amico dei comunisti? Ma quando mai…

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Ilari: durante il ventennio moroteo la politica estera italiana fu molto più autonoma di quel che sarebbe accaduto durante la Seconda Repubblica. Su Moro pesano ancora letture ideologiche

Aldo Moro con l’Unità in tasca? Un falso d’autore o, alla meno peggio, una lettura ideologica e parziale.

Rilanciata da Massimo Mastrogregori nel suo bel Moro (Salerno, Roma 2016) la polemica non riguarda tanto la statua, che dal 1988 campeggia a via Lama, nel centro di Maglie, la cittadina del Leccese dove nacque lo statista. Ma, va da sé, ciò che rappresenta, ovvero l’immagine dell’ex presidente della Dc, legata al compromesso storico, a sua volta alla base del teorema inquietante secondo cui lo statista fu ucciso perché ideatore dell’abbraccio comunista.

Su questo aspetto è intervenuto di recente Virgilio Ilari, docente di Storia delle istituzioni militari presso la Cattolica di Milano, in occasione del recente convegno svoltosi all’Unical su Aldo Moro e l’intelligence. Il senso dello Stato e la responsabilità del potere.

«La statua di Aldo Moro con in tasca “l’Unità” racchiude il giudizio consolidato sulla sua figura storica: lo statista illuminato che avrebbe voluto traghettare l’Italia dalle tenebre clerico-fasciste alla luce salvifica della Sinistra, e che ne fu impedito dal complotto anticomunista italoamericano», ha esordito il prof della Cattolica. Questo giudizio, ha proseguito Ilari, «resiste e resisterà alla critica storica, perché si inserisce all’interno di una interpretazione storica che si basa sulla discriminazione etico-politica del nemico interno e della visione di una guerra civile permanente che ha reso di fatto impossibile la tutela degli interessi nazionali».

Fin qui, sembra la solita querelle tra realisti e progressisti. Ma Ilari va oltre e invita ad «allargare lo sguardo al contesto internazionale del ventennio moroteo (1959-1978) perché in questo modo si potrà constatare una storia del tutto opposta, in cui la guerra civile congelata dalla guerra fredda si era tradotta in una effettiva unità nazionale, che conciliava atlantismo e indipendenza».

Il risultato di questa particolare lettura è piuttosto trasgressivo: supera i luoghi comuni di certa storiografia e di molto giornalismo e apre uno squarcio sulle vicende storico-politiche italiane degli ultimi 50 anni. Infatti, ha specificato il prof: «Il giudizio sulla Prima Repubblica come “democrazia incompiuta” e a “sovranità limitata” dimentica la cooperazione tra il governo e il Pci (dall’Ostpolitik di Mattei, alla sconfitta del terrorismo e al riarmo atlantico del 1973-1980), l’appoggio americano al centrosinistra e allo strappo del Pci in funzione antisovietica, alle prove di indipendenza nei confronti dei nostri partner a tutela degli interessi nazionali (Iraq e Iran 1953, Suez 1956, cooperazione italo-sovietica 1962-70, rivoluzione libica 1969, Yom Kippur 1973, Sigonella 1985) che stridono con gli interventi “imposti” in Serbia (1998) e in Libia (2011) e le sanzioni alla Russia (2014)».

Senza averne l’aria – o, almeno, facendosi sgamare il meno possibile – l’Italia riuscì a praticare una politica estera forte e ambiziosa, di cui Moro fu uno degli interpreti essenziali. Al riguardo, l’analisi di Ilari è puntuale: «La storia delle relazioni internazionali e della politica estera getta infatti una luce profondamente diversa sul ventennio moroteo e su quelli che vengono definiti i “misteri d’Italia”».

Questa linea politica fu creata dalla presenza continua di Moro in posti chiave: «Aldo Moro fu presidente del Consiglio o ministro degli Esteri quasi ininterrottamente dal 1963 al 1976. Fu anche l’Autorità nazionale per la Sicurezza nell’epoca della “distensione”». Perciò, ha concluso il prof, «Il suo ruolo nella politica internazionale – non può essere limitato ad aspetti specifici come il cosiddetto “lodo Moro” e la genesi del Trattato di Osimo, mentre la sua conoscenza dell’intelligence nazionale e atlantica fu al massimo livello».

Nulla da togliere all’artista che realizzò la statua di Maglie. Ma la politica vera, va da sé, è un’altra cosa.

 Per saperne di più:

 Il convegno su Aldo Moro

Moro e il Medio Oriente

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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