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Metro leggera, il balletto delle ipocrisie

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Quando fu approvata negli anni ’90 a Cosenza era sindaco Giacomo Mancini e quasi nessuno protestò. Anzi, l’opera fu accolta tra gli applausi.

Oggi scattano le contestazioni in nome dell’ambiente. E c’è chi tenta di bloccare il cantiere per far propaganda. 

Siamo al balletto delle ipocrisie, politiche e non solo. Dopo la recente e piuttosto affollata protesta, Cosenza si rivela come una città che non ama i servizi pubblici.

Nel caso specifico, la metrotramvia, che i cosentini conoscono col nome, più mediatico che tecnico, di “metropolitana leggera” o di “metropolitana di superficie”.

Viale Mancini

Non vogliamo entrare troppo nel merito della protesta perché, siamo convinti, i cittadini comuni e meno politicizzati che hanno sfilato nella centralissima corso Mazzini hanno senz’altro le loro buone ragioni.

Tra queste merita rispetto senz’altro il timore per l’ipotetico danno ambientale.

Ma se ci si astrae un attimo dalle specifiche problematiche territoriali, che non sono poche, e ci sofferma sui principi (quelli che regolano la corretta tutela dell’ambiente e non quelli degli ambientalisti), non ci vuol molto ad accorgersi che le metrotramvie non solo non devastano l’ambiente ma, almeno da una decina d’anni a questa parte, sono state ideate proprio per tutelarlo, riducendo le emissioni acustiche, i gas di scarico e le polveri sottili grazie alla trazione prevalentemente elettrica e al movimento su rotaia.

Questi principi sono stati recepiti dall’Ue, che cerca di imporli anche allo scopo di ridurre il più possibile il trasporto, pubblico e privato su gomma.

Dormano pure tranquilli i cosentini, se la loro preoccupazione è questa. Il problema non è la “metro” astratta, che dovrebbe semmai aiutare a disinquinare riducendo la presenza delle “gomme”.

Il problema vero, che non pare sia stato adeguatamente affrontato né dagli ispiratori e animatori delle proteste né dalla classe politica che ha voluto l’opera è diverso: per quel che si sa, la nuova opera è destinata a sorgere solo a livello fisico, ma al di fuori di un piano del traffico credibile e di un sistema aggiornato del trasporto pubblico locale.

Il cantiere della metro

In parole povere, la metro sarà solo l’ennesimo mezzo che attraverserà viale Mancini per collegare Cosenza a Rende e quindi all’Università della Calabria in un guazzabuglio di automobili e, peggio ancora, di bus che coprono tratte risalenti agli anni ’80.

La vera preoccupazione e il vero dovere di vigilanza democratica dovrebbero riguardare quest’aspetto, sempre se si vuole il bene dei cittadini e non ci si limita a fare propaganda per trasformarne le ansie e la rabbia in consenso.

Anziché fare inutili contrapposizioni frontali non sarebbe più etico e giusto far pressione sul consiglio regionale perché emani una normativa che adegui, finalmente, il piano dei trasporti pubblici locali?

La combinazione di piano dei trasporti e del traffico contribuirebbe anche a togliere dalla strada molte auto che circolano inutilmente. Nessuno vuol costringere il prossimo a prendere la metro, ci mancherebbe. Ma la corretta gestione del traffico è la precondizione necessaria perché questa funzioni. Certo, non sarà facile remare in direzione contraria alle ditte private di trasporti, però qualche sacrificio, anche in termini di voti, va fatto, se si ama l’ambiente. O no?

Un altro falso problema riguarda i tempi di percorrenza. Certo, quaranta minuti possono essere tanti se si considera solo la distanza coperta. Sono decisamente di meno se si pensa, più realisticamente, che servono a coprire tutto il giro e che comunque non tutti gli utenti devono andare e tornare dall’Università.

Giacomo Mancini

A chi può servire? A più persone di quanto non si creda. Certo, non siamo a Napoli, Firenze o Bologna, dove lo spirito civico, già diffuso o in crescita, spinge anche i più giovani a servirsi dei trasporti pubblici. Ma Cosenza e Rende sono due città che invecchiano sotto la doppia spinta della denatalità e dell’emigrazione e magari non è improbabile che un servizio efficiente di trasporti pubblici possa essere gradito a chi deve vedersela con gli acciacchi dell’età.

Ma usciamo dagli aspetti di merito e passiamo al setaccio quelli politici. Il più vistoso è l’approccio anti-Oliverio e anti-Occhiuto che ispira non pochi antagonisti della metropolitana. Ora, il presidente della Regione e il sindaco di Cosenza (che tra l’altro non vanno molto di pelo) hanno tutte le colpe del mondo, persino quella per il maltempo. Tutte, tranne quella della metro, di cui non hanno neppure i meriti.

Al pari delle altre opere pubbliche realizzate negli ultimi otto anni a Cosenza, la metro fu ideata negli anni ’90 durante l’amministrazione del vecchio Giacomo Mancini come opera strategica per collegare in maniera più stretta Cosenza a Rende.

L’opera fu approvata tra gli applausi di tutti, almeno nel capoluogo, dove Mancini ebbe l’unica opposizione dura solo dagli esponenti della ex An. Per il resto, attorno al vecchio leone socialista c’era una sorta di sincretismo politico, grazie a cui gli ambientalisti e gli autonomi coesistevano con alcuni ex missini.

Molti di quelli che oggi hanno o avrebbero protestato ieri applaudivano.

Così è stato per il rifacimento di piazza Fera (oggi piazza Bilotti), così è stato per il ponte di Calatrava, così è per la metro. Sulla quale il sindaco di Cosenza non ha fatto (e continua a non fare) una bellissima figura.

Mario Occhiuto

Basta una retrospettiva veloce per capire: i fondi per l’opera, annunciata e approvata nella seconda metà degli anni ’90, sono stati reperiti dall’Ue e stanziati a inizio 2011, poco prima che Mario Occhiuto tentasse la sua prima candidatura a sindaco. Occorre ricordare anche che all’epoca la Regione era in mano al centrodestra guidato da Scopelliti. In altre parole, Oliverio ha senz’altro ereditato l’opera, approvata e finanziata da altri. Occhiuto, invece, si è trovato all’interno dell’iter di finanziamento, quando questo era in una fase avanzata.

Il comportamento del sindaco è stato a corrente alternata: prima un’accettazione formale, ribadita nella campagna elettorale del 2011, poi l’opposizione a metà sindacatura, culminata nel no secco della campagna elettorale. Infine la marcia indietro, prima motivata dagli obblighi europei poi rivendicata come modernizzazione della città.

Logico che, con comportamenti così ondivaghi, il sindaco sia diventato il bersaglio di chi non gli vuole troppo bene. Ad esempio, il senatore grillino Nicola Morra, che ha lanciato un’interrogazione al ministro dell’Ambiente in cui chiede l’annullamento della gara d’appalto. Anche sulla base di motivi non troppo netti (e forse un po’ speciosi): la mancata proroga dell’esclusione della valutazione d’impatto ambientale nei termini previsti e la mancata coincidenza delle dimensioni cartografiche di un “orto botanico” tra i documenti del progetto e le mappe del Ministero dell’Ambiente (infatti Morra non spiega quanto sia enorme la pretesa difformità). Che il senatore faccia il suo, cioè politica e propaganda, lo si intuisce dal passaggio in cui rinfaccia a Occhiuto il voltafaccia tra il “no” di ieri e il “sì” di oggi.

Nicola Morra

Per capire, proviamo a immaginare che accadrebbe se il ministro accogliesse la richiesta di Morra e annullasse l’appalto: il cantiere resterebbe sequestrato per eventuali verifiche (senz’altro amministrative e probabilmente giudiziarie), l’opera dovrebbe essere riappaltata e, infine l’azienda appaltatrice dovrebbe essere risarcita coi controfiocchi. Il costo che Cosenza dovrebbe pagare sarebbe comunque alto. Troppo, se si pensa che il principale obiettivo è far fuori Occhiuto.

Intendiamoci, il sindaco lo meriterebbe come punizione per aver giocato con leggerezza a fare l’apprendista stregone basandosi più sulle regole del marketing che su quelle della politica. Ma non meriterebbero le altre, più pesanti conseguenze i non pochi cosentini che da certe contese si tengono a distanza di sicurezza e pretendono dalle istituzioni solo condizioni di vita pubblica civili.

In tutto questo resta il paradosso di una città disorientata, che ha rieletto sindaco Occhiuto con percentuali bulgare e poi ha dato le stesse percentuali al Movimento 5 Stelle. Ma tan’è: chi passa il tempo a criticare Occhiuto e Morra e poi li vota, li merita entrambi.

L’ambiente e i servizi pubblici sono altre faccende. Troppo importanti per lasciarle in mano a un sindaco, a un senatore e a qualche attivista.

Saverio Paletta

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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