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Il pregiudicato: lo Stato mi farà fallire per troppo rigore

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Parla Danilo Fiumara: una misura di sicurezza mi impedisce di lavorare

Pubblichiamo integralmente, tal quale l’abbiamo ricevuta, la lettera aperta di Danilo Fiumara, imputato in Overing, un maxiprocesso antimafia che si sta celebrando a Vibo Valentia. Poco prima dello scorso Natale, Fiumara ha ricevuto una misura di sicurezza: l’obbligo di dimora a Francavilla Angitola, il suo Comune di residenza. Non entriamo nel merito della decisione dei magistrati vibonesi (cosa che, tra l’altro, non spetta a noi). Ma troviamo giusta la lamentela di Fiumara, che teme, a causa di questa misura di non poter gestire più il proprio ristorante, in cui lavora come bracierista, e di dover chiudere i battenti. A voi le conclusioni e, ovviamente, il giudizio su questa missiva che, al netto delle doverose riflessioni sulla legalità e sulla sicurezza, esprime comunque una situazione di disagio che non può passare sotto silenzio.

Cari concittadini,

L’ultima cosa che voglio è sembrare un “piagnone”, uno che si lamenta senza rimboccarsi le maniche o, peggio, un indegno che rifiuta la giustizia quando gli è contro. Accetto, l’ho sempre fatto, i precetti della legge e le decisioni dei magistrati, anche quando non siano confermate da sentenze.

L’ho fatto anche quando sono risultato prosciolto. L’ho fatto anche quando ho pagato più di quel che dovevo (e che abbia pagato di più lo conferma proprio il fatto che spesso sono stato prosciolto).

Non mi lamento neppure questa volta. Ma consentitemi di esprimere una critica sincera, fatta di sicuro col cuore di un padre di famiglia più che con la ragione di un imputato che, in attesa di sentenza, dovrebbe tenere un profilo più basso.

Mi chiamo Danilo Fiumara, ho quasi cinquant’anni e cerco di risalire la china. Cioè di lavorare sodo e onestamente dopo anni di problemi giudiziari, vari dei quali (ripeto, lo hanno stabilito le sentenze) non meritatissimi.

Non ho difficoltà ad ammetterlo perché l’ho già detto: sono mafioso perché tale mi considera lo Stato, in seguito a una condanna al 416bis. Però penso di meritare un’opportunità, perché ho sudato e sudo e mi sono riempito di debiti per averla.

Alcuni di voi sanno già la mia storia: a dicembre, in attesa dell’esito del processo Overing in cui sono imputato con un capo d’accusa minore, ho ricevuto una misura di pubblica sicurezza, il soggiorno obbligato nel mio Comune di residenza, che è Francavilla Angitola. Ora, da circa un anno gestisco un piccolo locale, una griglieria-pizzeria a Vibo Pizzo, dove lavoro come bracierista, cioè addetto alla preparazione della carne.

Vi faccio una piccola domanda: se lo chef principale di quest’attività, aperta grazie a un prestito di mio suocero e delle persone care (che non so quando e se potrò onorare), sono io, come faccio a mandare avanti il locale, visto che non posso accedervi?

Sono un pericolo pubblico? Per chi ha il colesterolo alto senz’altro. Lo sarei anche di più, se potessi andare in moto, altra mia passione. Ma, visto che non posso guidare nulla di più potente di una bici, anche i pedoni possono stare tranquilli.

L’ultima volta che ho provato a perorare la mia causa, meglio ancora, a chiedere comprensione all’autorità giudiziaria, è stato l’otto marzo, quando mi sono recato in Tribunale per assistere alla Camera di consiglio con cui il Collegio per le misure di prevenzione doveva decidere se consentirmi di uscire da Francavilla per andare a lavorare (e non a delinquere).

Era la festa delle donne, ma, perdonatemi lo sfogo che esprimo con una battuta, la festa l’hanno fatta a me. Perché la mia richiesta venisse accolta avrei dovuto mettere alla porta un dipendente, nel quale ripongo la massima fiducia e che, come me, è padre di famiglia. L’alternativa, per mandare avanti il locale, è azzerare i profitti, perché devo pagare chi mi sostituisca. E c’è di peggio: mia moglie è costretta a fare su e giù con l’auto dal locale a casa e viceversa, da sola anche a tarda notte.

Io, lo dico con tutto il rispetto (che provo sinceramente, si badi) verso l’autorità giudiziaria, mi chiedo in cosa possa consistere la mia pericolosità, visto che, sia al locale quando potevo lavorarci, sia a casa, ricevevo e ricevo continue visite dei carabinieri. Delle quali non mi lamento: controllandomi fanno il loro lavoro e garantiscono me e i miei clienti, tranne ovviamente chi deve tenersi a dieta.

La presenza costante di uomini in divisa non dovrebbe, da sola, garantire la mia onestà e laboriosità? Non dovrebbe testimoniare che righerei dritto, anche se la misura di cui sono oggetto non ci fosse?

Ma, più che lamentarmi e criticare, nella misura in cui ciò mi è consentito dalla legge, voglio farvi partecipi di una mia preoccupazione: di questo passo, senza il mio lavoro diretto, la mia attività rischia di chiudere. Mi vergogno quasi a dirlo: per far fronte ad alcune spese, ho dovuto chiedere un prestito a mia madre e se non fosse stato per la sua provvidenziale borsetta mi ritroverei coi conti in rosso.

La mia pericolosità è questa. A meno che non si voglia pensare che se persino si staccasse una tegola da un tetto e colpisse qualcuno in testa, sarebbe colpa mia. Se così fosse, però, vorrebbe solo dire che porto sfiga. E contro la sfiga non ci sono misure di sicurezza che tengano.

E, a proposito di sfiga, pur non essendo superstizioso temo che, per colpa stavolta del destino cinico e baro, rischio di chiudere i battenti. Se ciò si verificasse, che cosa potrò raccontare ai miei figli? Che ho provato a risalire la china, a lavorare onestamente e lo Stato me l’ha impedito per eccesso di rigore?

Vi lascio con questa riflessione.

Vostro

Danilo Fiumara

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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