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Formigoni e Cl: il declino di una lobby?

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La condanna di Formigoni riporta alla luce il ruolo importante rivestito da Comunione e Liberazione nelle travagliate vicende del potere in Italia negli ultimi vent’anni. Ascesa e declino (per ora solo morale) di una lobby che ha conosciuto tempi migliori

La notizia c’è tutta: Roberto Formigoni, governatore storico della Lombardia e senatore di Ncd, è stato condannato a sei anni dal Tribunale di Milano per corruzione in seguito alla vicenda della Fondazione Maugeri.

Storia nota, perché le testate – cartacee, televisive e online – l’anno dissezionata in tutte le salse nel commentare la condanna, che comunque è solo in primo grado.

Il discorso, dunque, non riguarda tanto Formigoni, ma i rapporti di Formigoni con Comunione e Liberazione, il movimento ecclesiale fondato nel ’68 dall’ala di Gioventù Studentesca rimasta fedele all’insegnamento di don Luigi Giussani.

Ed ecco la parabola: nel ’94, a Dc finita (la stessa Dc, per capirci, lo aveva fatto parlamentare, europarlamentare e poi sottosegretario durante il governo Ciampi), Formigoni, allora figura carismatica di Cl, se ne uscì con una frase magica: «Dobbiamo sporcarci le mani». Cioè continuare a far politica. Fuori dalla metafora, occorre dire che l’ex governatore lombardo ha capito sulla sua pelle che la politica è cosa sporca e che le mani, comunque, se le è sporcate abbastanza.

Ma andiamo avanti con un balzo di 20 anni. Nel 2014, in piena diretta televisiva, il Nostro, evidentemente fuori dai gangheri, commenta: «Ma quello è solo un giornalaccio». Si riferiva alla storia del Cinghiale, di cui fu protagonista un quotidiano calabrese, L’Ora della Calabria, diretto (quando si dice l’ironia della sorte) da un altro ultracattolico, sebbene non ciellino: l’ex direttore di Novella 2000 Luciano Regolo. Il livore del senatore di Ncd era dovuta al fatto che un’inchiesta di quel giornale, che avrebbe chiuso i battenti ad aprile, aveva provocato un putiferio, in seguito al quale il senatore calabrese Antonio Gentile di Ncd fu costretto a dimettersi da sottosegretario del governo Renzi.

Era la prima botta per il partito di Angelino Alfano. La seconda sarebbe sarebbe arrivata l’anno successivo con l’inchiesta Grandi Opere, che avrebbe portato alle dimissioni di Maurizio Lupi da ministro dei Trasporti. Per onestà occorre ribadire che Lupi non era coinvolto nell’inchiesta. C’era però coinvolto Francesco Cavallo, assai vicino all’ex ministro e legato al messinese Vincenzo Biagio Paradiso, indagato (e poi archiviato) nel 2004 per concorso esterno in associazione mafiosa, con cui Cavallo aveva rapporti di affari. I rapporti che legano Cavallo a Lupi erano senz’altro di affettuosa amicizia. Ma avevano una matrice ben precisa: entrambi provengono dalla galassia ciellina. Cavallo, in particolare, era legato alla Compagnia delle Opere, il braccio finanziario di Cl, al pari di Paradiso.

L’ex ministro aveva rapporti anche con Antonio Saladino, inprenditore e (indovinate?) presidente calabrese della Cdo. Saldino meriterebbe un capitolo a sé perché fu l’indagato e l’imputato numero uno di Why Not, l’inchiesta scandalo condotta dall’allora pm Luigi De Magistris. È il caso di saltare a piè pari tutta questa vicenda giudiziaria, perché non è questa la sede per esprimere giudizi (già, tra l’altro, espressi da chi di dovere) su Saladino come su chiunque altro.

Abbiamo citato nel dettaglio questo giro vorticoso di rapporti solo per dire che tutte queste persone, a partire da Formigoni per finire con Saladino, si sono trovate nei guai, anche solo politici come nel caso di Lupi, per motivi di potere. E che questo potere è stato cementato dalla comune militanza (culturale, religiosa, politica ed economica) negli ambienti di Comunione e Liberazione.

Il movimento di don Giussani, infatti, è stato la piattaforma che ha consentito a loro e ad altri di iniziare carriere folgoranti. In maniera simile, non ci si scandalizzi, a quella che viene di solito attribuita alle comunioni massoniche. Certo: Cl, a differenza della Libera Muratoria, non ha strutture gerarchiche (le ha, invece, e piuttosto rigide, L’Opus Dei, non a caso considerato una massoneria bianca).

Ciononostante è diventata, grazie a un’attività multiforme, una delle lobby più forti d’Italia, in seguito al crollo del vecchio sistema dei partiti. Si prenda l’esempio più banale, quello delle università: da lì sono praticamente spariti i giovani di sinistra, che si richiamavano in modo più o meno diretto all’esperienza comunista, e si sono volatilizzati i destrorsi, che pure facevano faville. I ciellini, camuffandosi sotto varie sigle, sono rimasti. Di più: Cl è stato il gommone che ha salvato dalla catastrofe del ’94 i democristiani della diaspora.

Certo, questa lobby non ha avuto un comportamento trasversale, se non in specifiche situazioni ambientali: si schierò apertamente col centrodestra e divenne una colonna dell’ex Pdl di Silvio Berlusconi fino al divorzio del 2013, quando i suoi big se ne andarono con Alfano. Ma la differenza tra gli ex Dc che, saltando da un partitino all’altro, ce l’hanno fatta e quelli che, invece, sono rimasti al palo è stata, il più delle volte, Cl.

Il caso di Formigoni è esemplare: dopo la fine della Balena Bianca, l’ex governatore della Lombardi aderisce al Partito popolare italiano. Di lì a un anno se ne va e fonda, assieme a Rocco Buttiglione, il Cdu (Cristiani democratici uniti), di cui diventa presidente. Ci resta fino al ’98, quando divorzia da Buttiglione per fondare il Cdl (Cristiani democratici per la libertà). Questa vocazione a spaccare più volte l’atomo non gli impedisce di diventare governatore della Lombardia e di restarci per quattro mandati di fila, fino a quando, a partire dal 2012, non è stato disarcionato dalla serie di inchieste giudiziarie che hanno demolito la sua giunta.

La formula di questo successo è chiara: più si indebolivano i partiti, più crescevano le lobby. Tra queste, appunto Cl, che a dirla tutta non sta troppo simpatica neppure a vari esponenti della Chiesa e del mondo cattolico. Certo è che questi continui schizzi di fango (che comunque resteranno come sono rimasti per tanti esponenti della P2, a prescindere dagli esiti definitivi dei vari processi) non fanno bene, anzi.

Forse fanno bene all’opinione pubblica e alla stampa, meno intimorita nel fare i conti in tasca agli eredi non tanto in regola del magistero di don Giussani. Un’altra lobby ridimensionata? È presto per dirlo. Però i presupposti per un salutare bagno di umiltà ci sono tutti. E siamo sicuri che i ciellini, da buoni cristiani, accoglieranno con gioia questa opportunità.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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